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Fotoswitch: l’ultima soluzione per riacquistare la vista

La retinite pigmentosa, la degenerazione maculare senile e altre malattie retiniche portano al deterioramento dei fotorecettori, le cellule sensibili alla luce nell’occhio. Alla fine, questo deterioramento progredisce fino alla perdita della vista. Insieme con la condizione specifica della retina, un altro enorme problema nel campo deriva forse dal più grande problema di salute globale: il diabete. La retinopatia diabetica è una delle complicanze più frequenti della malattia e costituisce almeno il 50% di tutti gli attuali problemi di vista in tutto il mondo. Sebbene ci siano diverse terapie in fase di sviluppo per invertire la cecità correlata alla malattia retinica, ciascuna è associata a problemi di sicurezza legati alla stabilità a lungo termine. In modelli murini di patologie retiniche, è stato dimostrato che le molecole sensibili alla luce, note come fotoswitches, ripristinano le risposte della luce alle retine danneggiate. La capacità di controllare la durata e la frequenza di applicazione dei fotoswitch, che vengono applicati come terapia farmacologica, li rende un interessante approccio alternativo al trattamento della perdita della vista.

Pubblicato su Journal of Clinical Investigation, la ricerca condotta da Russ Van Gelder presso l’Università di Washington descrive DAD, un photoswitch di terza generazione in grado di ripristinare la funzione visiva nei topi ciechi. Il design del DAD consente di esistere in forme cariche e scariche, che aiuta la molecola fotosensibile a dissolversi facilmente in soluzione e assicura anche un adeguato rilascio ai circuiti retinici. Il DAD si attiva in modo efficiente quando esposto alla luce blu o bianca e torna rapidamente alla sua forma inattiva nell’oscurità. Nei topi, l’applicazione del DAD ha ripristinato le risposte alla luce principalmente mediante la fotosensibilizzazione delle cellule bipolari, i neuroni retinici che ricevono e integrano le informazioni dai fotorecettori. Questa preferenza di azione attraverso le cellule bipolari offre al DAD vantaggi distinti rispetto ai fotoswitches sviluppati in precedenza, perché sfruttare l’elaborazione retinica esistente può consentire una migliore risoluzione di complessi stimoli visivi, come il movimento. In un precedente lavoro, il team del Dr. Van Gelder ha già provato un altro fotoswitch chiamato AAQ, una piccola molecola sintetica in grado di ripristinare la sensibilità alla luce della retina e le risposte comportamentali in vivo nei modelli murini di retininte pigmentosa, senza somministrazione di terapia genica.

Una breve applicazione di AAQ ha conferito una prolungata sensibilità alla luce su più tipi di neuroni della retina, con conseguente risposta sinaptica amplificata e antagonismo sulla soppressione esercitata di base dalle cellule gangliari retiniche (RGC). L’iniezione intraoculare di AAQ ripristina il riflesso della luce pupillare e il comportamento di evitamento della luce locomotoria nei topi privi di cellule retiniche, indicando la ricostituzione della segnalazione luminosa ai circuiti cerebrali. Quindi i ricercatori hanno testato altre molecole. DENAQ è un prototipo di fotoswitch mono-componente di seconda generazione. Presenta un rilassamento termico spontaneo in modo che l’attività elettrica delle cellule cessi al buio e presenta uno spettro di attivazione spostato verso il rosso. È interessante notare che DENAQ agisca solo nelle retine con degenerazione retinica esterna. MAG è un analogo fotoattivato che si lega in modo covalente a un recettore ionotropico del glutammato modificato, LiGluR. Quando applicati insieme, MAG e LiGluR salvano anche le risposte di luce fisiologica e comportamentale nei topi ciechi. Le molecole fotoswitch presentano, perciò, una potenziale strategia farmacologica per ripristinare la funzione retinica nelle malattie degenerative visive.

Non ci resta che augurare di portare a compimento gli obiettivi e tenere “d’occhio” le prossime novità.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Tochitsky I et al.  Neuron. 2016 Oct 5; 92(1):100-113.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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