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Meglio thè verde o nero? Funzionano, ma diversamente

Il thè nero è una delle bevande americane più amate, che rappresenta circa l’80% di tutto il thè consumato nel paese. Per quanto riguarda i benefici per la salute, tuttavia, il thè nero è spesso in ombra rispetto al thè verde, che molti studi hanno esaltato per la sua capacità di aumentare la perdita di peso. Ma un nuovo studio potrebbe cambiare questa visione: il thè nero non dovrebbe essere ignorato, può essere altrettanto efficace come il thè verde per perdere i chili, ma funziona in un modo diverso. Susanne Henning, del Centro per l’Alimentazione Umana presso la School of Medicine di David Geffen dell’Università della California, Los Angeles (UCLA), e colleghi hanno appena pubblicato i loro risultati nella rivista European Journal of Nutrition. 

Entrambi i thè nero e il thè verde contengono polifenoli. Questi sono antiossidanti che proteggono le strutture cellulari – come il DNA e le membrane cellulari – contro i danni provocati dai radicali liberi. I polifenoli del thè verde sono abbastanza piccoli da essere assorbiti nei tessuti del sangue e nei tessuti del corpo, e gli studi hanno dimostrato che possono alterare il metabolismo energetico del fegato in modo da promuovere la perdita di peso. Come spiega la dottoressa Henning, “I nostri nuovi risultati suggeriscono che il thè nero, attraverso un meccanismo specifico dipendente dal microbiota intestinale, può anche contribuire alla buona salute e alla perdita di peso negli esseri umani”. Il team ha studiato quattro gruppi di topi. Ogni gruppo ha seguito una dieta diversa per un periodo di 4 settimane: una dieta ad alto contenuto di grassi e zuccheri; una dieta ad alto contenuto di grassi e zucchero integrata con estratto di thè verde; una dieta ad alto contenuto di grassi e di zucchero ad alto contenuto di estratto di thè nero; e una dieta a bassa percentuale di grassi e alti zuccheri.

I ricercatori hanno isolato campioni di tessuto epatico dai roditori per misurare i depositi di grasso, ed anche campioni di grande intestino, che hanno permesso loro di valutare la diversità batterica. Alla fine dell’intervento dietetico di 4 settimane, i ricercatori hanno scoperto che sia il gruppo – thè verde che gruppo – thè nero hanno perso peso, e i loro pesi sono diventati paragonabili al gruppo dieta a basso contenuto di grassi e alti zuccheri. Lo studio ha anche rivelato che entrambi i gruppi hanno sperimentato aumenti dei batteri intestinali legati alla massa corporea magra e diminuzione specie batteriche associate all’obesità. La dottoressa Henning spiega che i polifenoli più piccoli del thè verde (catechine) sono assorbiti più facilmente, il che significa che possono raggiungere il fegato direttamente per influenzare il metabolismo energetico. Tuttavia, i polifenoli del thè nero sono troppo grandi per essere assorbiti in questo modo. Invece, rimangono nell’intestino, dove aumentano la crescita di batteri “amichevoli” e formano metaboliti che aiutano a controllare il metabolismo del fegato.

Si è anche scoperto che il gruppo-thè nero ha avuto livelli più alti di batteri chiamati Pseudobutyrivibrio, che potrebbero svolgere un ruolo negli effetti diversi del thè verde e nero sul metabolismo energetico. Questa variazione non si è verificata in pazienti o volontari che avevano assunto thè verde per lungo tempo (Janssen PL et al., 2016). Ciò rafforza la tesi del team sulla tipologia di polifenoli del thè: quelli a basso peso molecolare (verde) agiscono direttamente sul fegato, incentivando il metabolismo di grassi e zuccheri; quelli ad alto peso molecolare (nero), non venendo assorbiti, favoriscono la crescita di batteri “benefici” limitando quella di specie Gram-negative più pericolose, come il Clostridium difficile o la Escherichia coli.

Il microbiota intestinale è un delicato sistema di specie batteriche commensali, che studi sempre più numerosi stanno associando alla comparsa di numerose patologie metaboliche ed autoimmuni. Diabete, sindrome metabolica, obesità, morbo di Chron, dermatiti croniche ed intolleranze alimentari di vario genere, sono solo alcuni dei disturbi che sembrano riconoscere nello sbilanciamento della flora batterica intestinale gran parte della loro origine. Ecco perchè perpetrare abusi alimentari o monotonie (assunzione di uniche tipologie di alimenti, es. solo pasta, solo frutta, solo carne), col passare del tempo può diventare pericoloso per la salute. L’intestino, contenendo migliaia di specie viventi, funge da “calderone” dove processare e metabolizzare il molteplice, non lo specifico. Abituarlo con l’alimentazione sbagliata o ripetitiva sposta la bilancia verso il patologico.

Un’ulteriore conferma della saggezza dell’antica medicina giapponese: “la salute dell’uomo passa dall’intestino”.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

 

Bibliografia scientifica

Henning SM, Yang J, Hsu M et al. Eur J Nutr. 2017 Sep 30.

De Weirdt R et al. (2017) Environ Microbiol; 19(2):722-739. 

Pereira-Caro G et al. (2017) J Agric Food Chem; 65(26):5365-5374.

Seo DB, Jeong HW, Kim YJ et al. (2017) Br J Nutr; 117(2):177-186. 

Ikarashi N et al. Eur J Pharm Sci. 2017 Mar 30; 100:211-218.

Janssens PL et al. PLoS One. 2016 Apr 7; 11(4):e0153134.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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