I risultati di uno studio clinico sulla malattia di Parkinson suggeriscono che il farmaco exenatide può funzionare come trattamento che può rallentare o addirittura arrestare la malattia. I pazienti che hanno iniettato il farmaco ogni settimana per 48 settimane hanno ottenuto risultati migliori nei test di movimento rispetto a quelli che hanno iniettato un placebo. La differenza tra i due gruppi era ancora rilevabile 12 settimane dopo aver fermato le iniezioni, secondo un rapporto sul processo che è stato pubblicato su The Lancet. Gli investigatori, guidati dall’University College di Londra (UCL) nel Regno Unito, affermano che il farmaco exenatide è ben tollerato e che i risultati incoraggianti aprono la strada a una prova più ampia per verificare formalmente se il farmaco interrompa la morte delle cellule nervose. Questo è un risultato molto promettente, in quanto il farmaco ha il potenziale per influenzare il decorso della malattia stessa e non solo i sintomi, secondo il caporicerca Tom Foltynie, professore all’Istituto di Neurologia dell’UCL. Infatti, i trattamenti attuali per la malattia di Parkinson possono alleviare molti dei sintomi, a volte per anni, ma non impediscono che la malattia peggiori.
Il farmaco exenatide è già autorizzato per il trattamento del diabete di tipo 2. È una versione sintetica di una sostanza che è stata originariamente scoperta nella saliva della lucertola Gila messicana (Gila monster). Nel trattamento del diabete, l’exenatide stimola i recettori ormonali GLP-1 nelle cellule del pancreas, inducendoli a produrre insulina. Precedenti studi hanno scoperto i recettori GLP-1 nel cervello, e test di laboratorio hanno anche dimostrato che attivarli produce una serie di cambiamenti che potrebbero essere utili per il trattamento del morbo di Parkinson. Questi effetti includono un aumento delle connessioni della dopamina, una migliore produzione di energia, una riduzione dell’infiammazione e l’attivazione dei segnali di sopravvivenza nelle cellule nervose. Nello studio clinico di due anni fa, il Prof. Foltynie col suo team avevano dimostrato che l’exenatide può attraversare la barriera emato-encefalica. Il team ha seguito questo studio con una piccola prova in aperto che ha scoperto che il farmaco ha portato a miglioramenti nei movimenti e nelle valutazioni mentali nei pazienti con malattia di Parkinson.
Il team ha reclutato 60 pazienti di età compresa tra 25 e 75 con malattia di Parkinson moderata, che erano tutti presenti in un unico centro di trattamento e li hanno assegnati in modo casuale a due gruppi. Entrambi i gruppi si sono iniettati ogni settimana per 48 settimane. In un gruppo le iniezioni contenevano 2 milligrammi di exenatide, mentre l’altro gruppo si iniettava con un placebo. Il processo era in doppio cieco, quindi né i partecipanti né gli amministratori della droga sapevano quali pazienti stavano ricevendo il farmaco attivo e che stavano ricevendo il placebo. Entrambi i gruppi hanno continuato con i farmaci esistenti durante le 48 settimane di iniezioni. Il periodo di 48 settimane è stato seguito da 12 settimane durante le quali i pazienti hanno eliminato tutti i loro farmaci (“washout”). I risultati hanno mostrato che dopo il periodo di trattamento, il gruppo exenatide aveva aumentato i punteggi su un riconosciuto test di funzionalità motoria del Parkinson che misura elementi quali agilità, linguaggio e tremori. Una ripetizione del test dopo il washout di 12 settimane ha mostrato che il miglioramento persisteva dopo la cessazione del farmaco.
Al contrario, il gruppo placebo ha mostrato un calo dei punteggi motori, sia nel periodo di 48 settimane che nel periodo di 60 settimane. La differenza media nei punteggi tra i due gruppi ha mostrato un vantaggio di 4 punti su una scala di 132 punti, che i ricercatori hanno trovato essere statisticamente significativi. I pazienti stessi non hanno riferito che i loro sintomi miglioravano di più di quello che i loro farmaci esistenti stavano facendo per loro. In due anni, il team ha fato altri progressi: ha scoperto che l’exenatide ha dei meccanismi neuroprotettivi che condivide con metaboliti come l’acido urico, farmaci come i sali di litio ed il nilotinib; oltre a delle vie di segnale dei fattori di crescita nervosi (es. NGF o BDNF) ad azione anti-degenerativa nervosa. I ricercatori suggeriscono che passeranno diversi anni prima che l’exenatide possa essere approvato e pronto per l’uso clinico per la terapia del Parkinson. Ma se ciò accadesse, il suo uso potrebbe estendersi, come il Parkinson, ad altre malattie neurodegenerative che coinvolte la proteina sinucleina-alfa. Fra queste ci sono le letali atrofia multisistemica (MSA) e l’atrofia a corpi di Lewy (LBD), per le quali non esiste alcun tipo di terapia pratica ed efficace.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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