Il coronavirus entra nelle cellule ospiti attraverso il legame del recettore e la scissione proteolitica della proteina virale virale in subunità, il che aiuta a fondersi con la membrana cellulare e rilasciare il suo genoma nel citoplasma Le proteasi umane cathepsina B, plasmina, tripsina, elastasi e serina-proteasi 2 transmembrana o TMSPRSS2 è stato precedentemente dimostrato di scindere la proteina come parte del processo di attacco virale. Questa attivazione della proteina spike consente alle glicoproteine presenti sull’involucro virale di fondersi con le cellule ospiti e consentire l’ingresso del virus. L’ectodominio della proteina spike è costituito dalla subunità S1, che è coinvolta nel legame del recettore e dalla subunità S2, che mantiene la fusione. Nelle cellule polmonari nasali, il virus SARS-CoV2 sembra entrare nelle cellule per mezzo di un recettore chiamato ACE2. I ricercatori sanno già che nel caso di SARS-CoV, i motivi di sequenza compresi tra S1 e S2 determinano i siti a cui le proteasi delle cellule ospiti si legano e si dividono.
Ora, i ricercatori dell’Istituto indiano di tecnologia, Guwahati, hanno fatto un’importante scoperta su una proteina di fusione virale trovata sulla superficie di SARS-CoV2 che potrebbe aiutare i ricercatori a sviluppare un vaccino. La loro scoperta che una mutazione nel sito di scissione della proteina interrompe il legame con le cellule ospiti potrebbe essere utilizzata per sviluppare una versione attenuata del virus. È possibile accedere a una versione pre-stampa del documento sul server bioRxiv, mentre l’articolo è sottoposto a revisione da esperti. Sachin Kumar e colleghi hanno dimostrato il legame di plasmina, furina e catepsina B delle proteasi delle cellule ospiti con la proteina spike del SARS-CoV-2. Hanno anche analizzato il ruolo che alcuni residui di amminoacidi svolgono nell’interazione di legame introducendo mutazioni a punto singolo nel sito di scissione della proteina. I risultati dello studio hanno suggerito l’inclusione di altri quattro aminoacidi basici al confine S1 / S2, che indicano un ruolo della furina come attivatore proteolitico ospite della proteina del picco.
L’analisi del docking molecolare (che determina l’interazione tra due molecole) delle proteasi delle cellule ospiti ha scoperto che si legano alla proteina formando ponti salini e legami idrogeno. Per testare il ruolo svolto da questi residui di aminoacidi aggiuntivi nell’interazione, ogni aminoacido di base (arginina; R) è stato mutato in sequenza in alanina (A). Inoltre, il team ha analizzato l’efficienza di legame di ciascuno dei mutanti con la rispettiva proteasi ospite. In primo luogo, il team ha stabilito tutti i residui coinvolti nel legame di plasmina, furina e catepsina B a proteine di tipo selvaggio. Lo studio sull’aggancio al computer ha rivelato importanti informazioni sull’interazione tra la catepsina B e il sito di scissione proteolitica. L’interazione è stata interrotta quando un singolo residuo è stato mutato nel sito di scissione della proteina. Tutti i modelli mutanti avevano meno ponti salini e legami idrogeno, suggerendo così un legame più debole.
In particolare, la mutazione di P682A nella proteina spike di tipo S selvaggia produce il miglior modello mutante che blocca il sito attivo dell’enzima per le proteasi cellulari, a causa di un numero minimo di ponte salino e formazione di legame idrogeno. Inoltre, la scoperta ha suggerito che la sequenza proteica 682-687 (PRRARS) nella proteina di tipo S è responsabile del suo corretto legame con le proteasi dell’ospite di furina, catepsina e plasmina e la mutazione di questi residui ne compromette l’interazione. Biologi e biochimici sanno già che la scissione a livello di residui di arginina è comunemente usata per attivare una serie di proteine umane, inclusi ormoni e fattori di crescita. Gli studi sull’aggancio al computer suggeriscono che le modifiche apportate in questi particolari siti indeboliscono il legame delle proteasi delle cellule ospiti con la proteina spike. Su questo principio di base, l’uso di inibitori della proteasi può rappresentare un nuovo approccio per fermare la diffusione cellulare di SARS-CoV-2 e per sviluppare un antivirale.
Infatti, si ricordi che negli studi iniziali contro il coronavirus una linea di pensiero andava proprio nella direzione di impiegare inibitori delle proteasi come il camostat ed il nafamostat. E a fine febbraio un gruppo di ricerca americano era andato proprio verso questa direzione, in cerca di un inibitore più specifico. Nel frattempo, proprio questo mese, un gruppo separato di ricercatori ha confermato che il camostat e l’E-64d, un inibitore della catepsina B, hanno inibito l’entrata cellulare del SARS-CoV2 mediata da ACE2 e TMPRSS2. Kumar e colleghi hanno spiegato le implicazioni della loro scoperta: “La partecipazione di questi amminoacidi cruciali situati ai confini delle subunità S1 e S2 nella fase di elaborazione proteolitica fornirà un’opportunità unica per sviluppare un ceppo patogeno inferiore di SARS-CoV-2, che può essere ulteriormente utilizzato per sviluppare vaccini. Considerando il fatto dimostrato nell’analisi molecolare di poter creare una forma attenuata di virus, sono necessari ulteriori lavori in vitro per validare il tutto”.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Kumar S, et al. bioRxiv 2020 Apr 27; pre-print review.
Belen-Apak FB et al. Med Hypoth 2020 Apr 20; 142:109743.
Hoffmann M et al. Cell. 2020 Apr 16; 181(2):271-280.
Zhang L, Lin D, Kusov Y et al. J Med Chem. 2020 Feb 24.

Dott. Gianfrancesco Cormaci

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