La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è la forma più comune di distrofia muscolare, una malattia che porta alla progressiva debolezza e all’eventuale perdita dei muscoli scheletrici e cardiaci. Si verifica in 16 dei 100.000 nati maschi negli Stati Uniti. Le persone con la malattia mostrano goffaggine e debolezza nella prima infanzia e in genere hanno bisogno di sedie a rotelle quando raggiungono l’adolescenza. L’aspettativa di vita media è di 26 anni. I ricercatori di Yale hanno ora identificato un possibile trattamento per la DMD, prendendo di mira un enzima che era stato considerato “non farmacologico”. Mentre una ricerca precedente aveva rivelato il ruolo cruciale svolto da un enzima chiamato MKP5 nello sviluppo della DMD, rendendolo un obiettivo promettente per una possibile terapia, gli scienziati per decenni non erano stati in grado di inibire questa famiglia di enzimi, noti come proteine tirosina fosfatasi, nel loro sito “attivo”. In realtà le fosfatasi possono essere prese di mira dagli inibitori: ne sono stati sviluppati almeno un centinaio; alcuni di loro sono molto specifici.
Altri, però, non mostrano alcuna specificità, il che è un problema per le applicazioni cliniche pratiche. Nel nuovo studio, Anton Bennett, Professore di Farmacologia e Medicina Comparata, e il suo team hanno esaminato oltre 162.000 composti. Hanno identificato un composto molecolare che bloccava l’attività dell’enzima legandosi a un sito allosterico precedentemente sconosciuto – un punto vicino al sito attivo dell’enzima che agisce come una tasca per accettare piccole molecole di qualche tipo. Gli inibitori allosterici influenzano l’attività di una proteina o di un enzima in modo diverso dagli inibitori catalitici. Alcune molecole allosteriche inibiscono ma altre attivano la funzione di una data proteina. Ci sono stati molti tentativi di progettare inibitori per questa famiglia di enzimi, ma quei composti non sono riusciti a produrre le proprietà giuste. Fino ad ora, la famiglia degli enzimi è stata considerata “non aggredibile” da farmaci, perché la struttura del loro nucleo catalitico è quasi sovrapponibile tra loro (somiglianza molecolare).
Puntando invece al sito allosterico di MKP5, gli scienziati hanno scoperto un eccellente punto di partenza per lo sviluppo di farmaci che ha aggirato i problemi precedenti. I ricercatori hanno testato il loro composto nelle cellule muscolari e hanno scoperto che inibisce con successo l’attività dell’MKP5, suggerendo una nuova promettente strategia terapeutica per il trattamento della DMD. La MKP5, infatti, regola la proliferazione dei fibroblasti, cellule che sintetizzano il collagene e che sono all’origine delle cicatrici e della comparsa di indurimento patologico degli organi (sclerosi). Essa disattiva la via delle proteina chinasi p38 e JNK, che servono alla moltiplicazione dei fibroblasti stessi e alla produzione di mediatori infiammatori. L’effetto antifibrotico di MKP-5 però si esercita condizionando un’altra via cellulare che stimola i fibroblasti, quella del fattore di crescita trasformante (TGF-beta). La fosfatasi in questione fa in modo che le proteine associate al suo recettore (Smad3) non riescano ad innescare la sintesi del DNA cellulare.
Mano a mano che le cellule muscolari nella DMD muoiono, infatti, esse vengono sostituite dai fibroblasti, che costruiscono veri e propri “ponti rigidi” di collagene senza capacità di contrarsi come i muscoli. Invero, il Dr. Bennet ha concluso: “La scoperta ha implicazioni ben oltre la distrofia muscolare. Abbiamo dimostrato che l’enzima MKP5 è ampiamente implicato nella fibrosi o nell’accumulo di tessuto cicatriziale, una condizione che contribuisce a quasi un terzo delle morti naturali in tutto il mondo in diversi contesti. La fibrosi è coinvolta nella morte allo stadio terminale di molti tessuti, inclusi fegato, polmoni e muscoli. Crediamo che questo enzima possa essere un bersaglio più ampio per la malattia del tessuto fibrotico”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Gannam ZTK et al. Sci Signal 2020; Aug; 13(646):eaba3043.
Tzouvelekis A et al. Eur Respirat J. 2018; 52(62):LSC1111.
Tzouvelekis A et al. Eur Respirat J. 2018; 52(62):OA5350.

Dott. Gianfrancesco Cormaci

Ultimi post di Dott. Gianfrancesco Cormaci (vedi tutti)
- “Paying attention” to the ADHD/ASD silent side of the mind: focus on depression, anxiety and internalization issues - Gennaio 31, 2023
- Sulla strada innovativa per la lotta alla fibrosi polmonare: nuove start-up, nuovi enzimi, nuove molecole - Gennaio 31, 2023
- Eczema e prurito cronici: le opzioni medicinali, la gestione personale e le ultime novità di cura - Gennaio 30, 2023
- The complex prevalence of breast cancer: from specific genes for ethnias to those that dictate the contralateral disease - Gennaio 26, 2023
- Flash news: perchè alcuni prendono la mononucleosi ed altri invece mai? La scienza scopre il perchè - Gennaio 26, 2023