La malattia di Machado-Joseph o atassia spinocerebellare di terzo tipo (SCA3) è una neurodegenerazione piuttosto rara, con una prevalenza media globale di 4 persone su 100000. Si presenta in tre forme con varia sintomatologia nervosa. Una caratteristica che è sempre presente però è l’oftalmoplegìa o paralisi dei nervi del movimento oculare. Il parkinsonismo può essere un altro sintomo precoce. Come tutte le altre malattie dello stesso tipo (mutazioni poli-Q) cui appartiene anche la malattia di Huntington, non c’è cura ed è possibile solo una terapia sintomatica e riabilitativa dove possibile. La maggior parte di queste malattie neurologiche ha una cosa in comune: un accumulo di proteine anomale attorno ai neuroni. I ricercatori concordano sul fatto che queste proteine fabbricate in modo improprio diventano progressivamente più tossiche interagendo con proteine sane, interrompendo così le loro funzioni. Funzioni cellulari come il trasporto nucleare, la sintesi proteica, la funzione dei mitocondri, ecc. diventano via via sempre più compromesse.
Dato che la terapia genica non ha offerto finora finestre curative fattibili e semplici, la ricerca si è concentrata sulla possibilità di modulare le funzioni cellulari anomale attraverso molecole semplici atte ad agire proprio sui processi cellulari menzionati sopra. Ad esempio, allo scopo di accelerare l’eliminazione degli aggregati proteici patologici, svariati gruppi di ricerca stanno indagando attivamente sul problema. Ad esempio, un team della Dong-Hwa University di Taiwan ha identificato una molecola molto piccola, la n-butiliden-ftalide (n-BP), isolata dalla pianta Angelica sinensis usata come antinfiammatorio. La n-BP ha promosso l’autofagìa (autodigestione cellulare) e ha protetto la perdita della cellula di Purkinje nel cervelletto che regola la rete associata alle funzioni motorie. Il trattamento di topi con SCA3 con la n-BP ha portato all’esaurimento del mutante ATXN3 con la catena polyQ espansa e i frammenti tossici, con conseguente aumento dell’attività metabolica e attenuazione dell’atrofia del cervelletto del topo SCA3.
Un altro team di ricercatori dell’Università di Coimbra in Portogallo, ha invece battuto sui farmaci attualmente impiegati per testare il loro effetto sempre sull’autofagìa cellulare. La loro scelta è caduta sulla carbamazepina, un comune farmaco antiepilettico. L’attività di potenziamento dell’autofagia della carbamazepina e i suoi effetti sulla clearance del mutante ATXN3 sono stati valutati utilizzando modelli in vitro e in vivo della malattia di Machado-Joseph. Per studiare il regime di trattamento ottimale, è stata applicata una somministrazione giornaliera o intermittente di carbamazepina a topi transgenici SCA3 che esprimevano una proteina ATXN3 umana troncata con 69 ripetizioni di glutammina. In parallelo, è stato condotto uno studio retrospettivo per valutare l’effetto del farmaco nei pazienti con SCA3. I ricercatori hanno scoperto che la carbamazepina ha promosso l’autofagia cellulare e la degradazione del mutante ATXN3 nei modelli SCA3 su regimi di trattamento brevi o intermittenti, ma non giornalieri prolungati.
Inoltre, questo trattamento intermittente ha migliorato le prestazioni motorie, oltre a prevenire la neuropatologia dei topi transgenici affetti. Gli effetti del farmaco sull’autofagia sembravano dipendere dall’attivazione di AMPK, la proteina chinasi attivata dal digiuno, e dai livelli cellulari di mio-inositolo che è un costituente di alcuni fosfolipidi di membrana e di molecole messaggere intracellulari. Un team indipendente di ricercatori dell’Università di Macquarie in Australia, invece, ha puntato sulla modulazione genica mediata dall’acido valproico. Questo farmaco antiepilettico interferisce anche con un processo nucleare di espressione genica mediata dagli enzimi istone deacetilasi (HDACs). Per questa proprietà, il valproato di sodio è stato studiato per una serie di altre malattie neurodegenerative, con studi clinici che sono stati applicati nella malattia di Huntington, nella malattia di Alzheimer e nella sclerosi laterale amiotrofica. Il team di scienziati ha visto che le capacità di nuoto dei pesci zebra geneticamente resi SCA3 miglioravano sensibilmente per trattamento con sodio valproato.
Le cellule di questi pesci trattati avevano alterazione della cromatina compatibili con l’effetto nucleare del farmaco. Tuttavia, c’è stata una sorpresa: al di là dell’effetto nucleare della molecola, il valproato ha agito con una seconda via di segnalazione cellulare: quella delle sirtuine. Questi enzimi sono dei potenti regolatori della longevità cellulare e mettono in comunicazione le funzioni energetiche dei mitocondri con quelle di espressione genica del nucleo. Che il farmaco agisse anche tramite la via delle sirtuine è stato comprovato dal fatto che un inibitore farmacologico di queste proteine (EX-527), diminuiva sensibilmente gli effetti protettivi del valproato. Al contrario, trattando gli animali con resveratrolo, un polifenolo naturale che attiva le sirtuine, si verificava un miglioramento delle funzioni motorie dei pesci zebra malati. Ed anche qui la via delle sirtuine ha interagito col fenomeno dell’autofagìa cellulare, perché ha messo in gioco proteine specifiche del processo come p62, Beclin-1 ed LC3II.
Questi risultati sono promettenti perché sia la carbamazepina, il valproato di sodio che il resveratrolo hanno il potenziale per essere sicuri per il trattamento umano. Invero, la carbamazepina ed il valproato di sodio sono impiegati da decenni per il trattamento di epilessia ed altre condizioni neurologiche; il resveratrolo è un polifenolo naturale che si trova nella buccia dell’uva, nelle arachidi e dei frutti di bosco. A questo punto, se i risultati sperimentali venissero confermati si potrebbe speculare di intervenire nei pazienti SCA3 con una dieta che sia arricchita di alcune sostanze naturali che agiscono sulle sirtuine.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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