Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune cronica caratterizzata da una rottura della tolleranza immunitaria agli autoantigeni nucleari. Le attuali terapie standard per il LES includono steroidi, immunosoppressori, DMARD e prodotti biologici tra i quali il più recentemente approvato è un anticorpo monoclonale contro la citochina BAFF. Grazie a queste terapie, il tasso di sopravvivenza a 10 anni è migliorato dal 60 al 90% negli ultimi 50 anni. Tuttavia, i pazienti con LES hanno ancora esigenze mediche non soddisfatte. Innanzitutto, gli agenti immunosoppressori impiegati vengono utilizzati anche in altre condizioni autoimmuni, il che implica una mancanza di specificità nel trattamento della malattia. In secondo luogo, in caso di ricaduta, sono spesso necessarie dosi elevate di steroidi o immunosoppressori, e quindi l’infiammazione recidivante-remittente provoca non solo un ulteriore danno tissutale ma anche effetti avversi più gravi dei farmaci.
Uno dei nuovi farmaci molto attesi attualmente in sperimentazione clinica è un anticorpo monoclonale del recettore dell’interferone di tipo I (IFN) che blocca l’azione degli IFN di tipo I (IFN-α e -β). I pazienti con LES mostrano un’elevata espressione di geni stimolati dall’IFN (ISG) chiamati firma IFN e esperimenti su animali hanno rivelato che il blocco della segnalazione dell’IFN di tipo I inibisce i sintomi simili al LES. Recentemente, è stato annunciato che gli studi di fase III su anifrolumab, un anticorpo antagonista per la subunità 1 del recettore IFN-α e -β (IFNAR1), hanno raggiunto il loro endpoint primario. La percentuale di responder era più alta nel gruppo anifrolumab (47,8%) rispetto al gruppo placebo (31,5%). Tuttavia, il tasso annualizzato di recidive era ancora del 43% nel gruppo anifrolumab. Pertanto, è auspicabile lo sviluppo di terapie aggiuntive diverse (o in aggiunta al) blocco della segnalazione dell’IFN di tipo I.
Diversi studi di associazione sull’intero genoma hanno identificato IRF5 come uno dei geni le cui varianti genetiche sono altamente associate al rischio di LES. IRF5 codifica per un fattore di trascrizione che ha dimostrato di essere attivato nei monociti della maggior parte dei pazienti con LES e la sua espressione è ulteriormente indotta dagli estrogeni (l’innesco biologico della malattia nelle donne). Gli scienziati dell’Advanced Medical Research Center della Yokohama City University pensano che prendere di mira specificamente questa proteina invece dell’intero complesso di interferone potrebbe dare maggiori possibilità di controllare la malattia. Prima di tutto, hanno deminstrato che la percentuale di individui che mostravano la traslocazione nucleare IRF5 in ≥5% dei monociti era del 4% nei donatori sani e del 52% nei pazienti con LES. Apparentemente, i livelli della proteina sono rimasti significativamente elevati sia nei pazienti con malattia attiva che in remissione, rispetto agli individui sani.
Hanno poi dimostrato che i farmaci attualmente utilizzati per curare la malattia non sono in grado di contrastare l’attivazione di IRF5 attraverso il processo di fosforilazione proteica. Infatti, quando IRF5 è defosforilato, la sua attività è praticamente assente. Ad esempio, indipendentemente dalla somministrazione di prednisolone, idrossiclorochina o micofenolato mofetile, la percentuale di monociti con traslocazione nucleare IRF5 e i livelli di espressione dei geni stimolati dall’interferone sono rimasti elevati. Nella fase successiva della ricerca, lo scienziato ha dimostrato che bloccare l’attività sul solo IFNAR1 non è sufficiente per bloccare la progressione della malattia in modelli sperimentali e che IRF5 regola la disponibilità energetica delle cellule immunitarie. In particolare, migliora l’energia mitocondriale sovraregolando i componenti della catena fosforilativa e la sua ablazione genetica (proteina negativa dominante condizionale) ha ridotto la malattia negli animali malati.
Tuttavia, il condizionamento genetico non è pratico nella pratica clinica; questo è il motivo per cui gli scienziati sono andati avanti e hanno ritenuto che un inibitore chimico di IRF5 potrebbe essere una scelta migliore. Pertanto, hanno eseguito uno screening ad alto rendimento di un’enorme banca chimica per identificare gli inibitori selettivi dell’attività trascrizionale di IRF5. Solo un composto di piccole molecole, denominato YE6144, ha sostanzialmente inibito la traslocazione nucleare di IRF5 nei monociti attivati e nelle cellule dendritiche. Questa sostanza era abbastanza specifica e non interferiva quasi per niente con NF-kB, un altro fattore di trascrizione coinvolto in alcuni aspetti infiammatori del LES. Sia IRF-5 che NF-kB condividono alcuni meccanismi di attivazione a monte; ma mentre un inibitore del percorso NF-kB (TCPA-1) ha influenzato entrambi i fattori di trascrizione, YE6144 ha interferito solo con l’attività nucleare di IRF5. La molecola ha alterato la maggior parte delle risposte regolate dall’IFN e
Gli animali malati hanno mostrato un miglioramento della proteinuria, del danno renale, dell’ingrossamento della milza e della popolazione immunitaria autoreattiva nel sangue. E questi biomarkers di remissione sono durati più a lungo dei convenzionali immunosoppressori o inibitori del proteasoma (bortezomib) in grado di indurre il riciclo delle proteine intracellulari. I ricercatori ritengono che una remissione a lungo termine indotta dall’inibitore IRF5 insieme ai farmaci standard possa portare alla scomparsa degli autoanticorpi e delle loro cellule produttrici, le plasmacellule. Se i livelli di autoanticorpi rimangono elevati, i farmaci anti-plasmacellule come atacicept vengono somministrati per un breve periodo per indurre una profonda remissione. Alla fine, la terapia di combinazione potrebbe essere sostituita dalla monoterapia con inibitore dell’IRF5 per il mantenimento della remissione.
- A cura del Dott. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Pubblicazioni scientifiche
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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