Il sodio, uno dei componenti del sale da cucina, si trova naturalmente in alcuni alimenti, ma vengono spesso aggiunte elevate quantità di sodio agli alimenti lavorati, confezionati e preparati commercialmente. È dimostrato che l’eccesso di sodio è collegato all’aumento della pressione sanguigna. Il potassio ha un effetto opposto, può cioè aiutare a rilassare i vasi sanguigni, promuovere la diuresi ed eliminare il sodio, diminuendo così la pressione sanguigna. Ricche fonti di potassio includono molti tipi di frutta, verdure a foglia verde, fagioli, noci e verdure amidacee come la zucca invernale. La relazione tra consumo di sodio e rischio di malattie cardiovascolari è stata sempre controversa.
Alcuni studi di coorte hanno suggerito che una minore assunzione di sodio è associata ad un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Tuttavia, tali studi hanno valutato l’assunzione di sodio utilizzando metodi soggetti a errori di misurazione. Dati completi, compresi quelli provenienti da studi randomizzati, hanno costantemente dimostrato che all’aumentare dell’assunzione giornaliera di sodio, aumenta anche la pressione sanguigna e, come conseguenza, aumenta anche il rischio di malattie cardiovascolari. La FDA americana ha recentemente pubblicato una nuova guida volontaria che incoraggia l’industria alimentare a ridurre gradualmente il sodio negli alimenti prodotti commercialmente nei prossimi due anni e mezzo.
Secondo un ultimo studio condotto dai ricercatori della Harvard Chan School of Public Health, un minor consumo di sodio e una maggiore assunzione di potassio sono collegati a un minor rischio di malattie cardiovascolari nella maggior parte delle persone. Limitazioni metodologiche in precedenti studi osservazionali hanno portato a confusione sul fatto che la riduzione degli attuali livelli di sodio nella dieta aumenti il rischio di malattie cardiovascolari. Questa nuova ricerca, al contrario, ha combinato dati di alta qualità sui singoli partecipanti provenienti da sei studi di coorte in cui il sodio è stato misurato col metodo attualmente più affidabile, ovvero più campioni di urina delle 24 ore.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno combinato sei studi prospettici di coorte: gli studi sulla salute degli infermieri (NHS1 e NHS2), lo studio di follow-up dei professionisti della salute (HPFS), Prevenzione della malattia renale e vascolare end-stage (PREVEND) e il follow-up di prevenzione dell’ipertensione (THPF). I ricercatori hanno analizzato i dati individuali sull’escrezione di sodio e potassio e l’incidenza di malattie cardiovascolari, che includono malattie coronariche o ictus. I dati provenivano da più campioni di urina delle 24 ore, il metodo più affidabile per valutare l’assunzione di sodio, prelevati da più di 10.000 adulti generalmente sani con un follow-up dello studio di eventi cardiovascolari per una media di quasi nove anni. Durante gli studi di coorte sono stati documentati un totale di 571 eventi cardiovascolari.
Dopo aver tenuto conto di un’ampia gamma di fattori di rischio, i ricercatori hanno determinato che una maggiore assunzione di sodio era significativamente associata a un rischio cardiovascolare più elevato in modo dose-risposta con un’assunzione giornaliera di sodio da 2 a 6g. Ogni aumento di 1 grammo al giorno dell’escrezione di sodio era associato a un aumento del rischio cardiovascolare del 18%. Per ogni grammo al giorno di aumento dell’escrezione di potassio, il rischio di malattie cardiovascolari era inferiore del 18%. Gli scienziati sottolineano l’importanza di utilizzare un biomarker affidabile per misurare l’assunzione abituale di sodio e valutarne la relazione con il rischio cardiovascolare. Ritengono che i loro risultati forniscano ulteriore supporto alle strategie di salute pubblica, inclusi regolamenti, ed etichettatura degli alimenti.
Questo implica aspetti più vasti del problema e connessi fra loro a più livelli, primo fra tutti la consapevolezza della popolazione a limitare l’assunzione di sodio nella fase di condimento alimentare a tavola. Secondo, i vari fattori culturali legati propriamente all’uso del sale nell’alimentazione quotidiana. Terzo, la regolamentazione a livello industriale dell’aggiunta di sale negli alimenti lavorati tramite apposite normative. Tutto questo per uno scopo più che giustificato: la prevalenza di ipertensione è diventata più che allarmante e le sue dirette conseguenze sono ictus cerebrale ed infarto cardiaco, che insieme alle patologie tumorali sono la principale causa di morte a livello globale. Quindi, indipendentemente dal fatto che i dati possano essere definitivi o meno, si raccomanda comunque di limitare l’assunzione giornaliera di sale nel cibo.
L’eccessivo consumo di sale non è solo associato ad ipertensione. Prove crescenti, per esempio, lo hanno collegato alla sregolazione delle funzioni immunitarie, all’esacerbazione di manifestazioni allergiche finanche verso la comparsa di malattie autoimmuni in chi può essere predisposto (vedere articoli consigliati). In fondo, nessuno di noi conosce a cosa potrebbe andare incontro esponendosi a fattori di rischio. E soprattutto quando.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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