Il travaglio è un processo per sua natura che coinvolge l’infiammazione, quindi se la donna si sottopone a taglio cesareo pianificato o pre-travaglio ci sarà meno attivazione dell’inflammasoma, rispetto a un taglio cesareo di emergenza in una donna già in travaglio o in un parto vaginale non assistito. L’inflammasoma è una piattaforma cellulare di proteine che si attiva quando ci sono stimoli fisici diversi da quelli batterici o virali. Sono responsabili di infiammazioni che sopraggiungono in caso di gotta (cristalli di acido urico), coliche biliari (cristalli di colesterolo), polmoniti da polveri (particolato di carbone o sabbie), per fare esempi molto pratici. Nelle nascite in cui è coinvolto il travaglio, c’è più espressione genica infiammatoria nella placenta se hai avuto un taglio cesareo d’urgenza (trauma fisico) rispetto a un parto vaginale. Una nuova ricerca australiana mostra che il travaglio e il parto naturale provocano stress sul corpo di una madre, ma un cesareo di emergenza è associato a un’espressione genica ancora più infiammatoria nella placenta.
Lo studio ha esaminato le differenze nei biomarkers di infiammazione della placenta dopo il parto di bambini maschi e femmine coinvolti in 20 parti cesarei di emergenza, rispetto a 40 placente da parti naturali e 10 placente da un taglio cesareo elettivo in una maternità pubblica di un ospedale ad Adelaide dal 2006 al 2018. I dati indicano anche che i bambini, in particolare le femmine, potrebbero essere più compromessi nel loro sviluppo e salute e benessere a lungo termine dopo un taglio cesareo di emergenza. È interessante notare che, mentre le placente testate dai maschi hanno un’espressione genica più infiammatoria da un parto vaginale, le bambine hanno più markers infiammatori se invece nascono con parto cesareo di emergenza. Gli scienziati ritengono che una spiegazione di ciò potrebbe essere la scoperta che le placente dei maschietti tendono a emettere “segnali di allarme” (la citochina interleuchina-33) in tempi di sofferenza fetale, che non sono stati rilevati nella placenta delle femminucce. Questo potrebbe aiutare a mitigare la reazione infiammatoria.
Se ciò dipenda dagli ormoni maschili o femminili non è stato indagato, ma farebbe meraviglia il contrario dato che è noto che gli ormoni sessuali condizionano molti tipi di risposta sia infiammatoria che immunitaria. Nel complesso, la valutazione dell’espressione genica infiammatoria nella placenta potrebbe essere utilizzata per identificare i bambini che sono stati esposti a livelli di infiammazione superiori al normale alla nascita, e quindi creare incentivi per monitorare più da vicino il loro sviluppo, la salute e il benessere a lungo termine. Ma non è l’unico modo con cui è possibile intervenire anche a monte. Non è infrequente trovare donne incinte che fanno uso di farmaci per la pressione per curare l’ipertensione anche in gravidanza. Questa categoria di farmaci è abbastanza maneggevole e sicura e se si segue scrupolosamente la direttiva dello specialista non pongono rischi per la salute del feto. Al contrario, non curare l’ipertensione in gravidanza può avere ripercussioni in gravidanza per il bambino.
Lo conferma uno studio del SSN americano (NIH), che ha riscontrato come le donne trattate con farmaci per l’ipertensione presente prima o durante le prime 20 settimane di gravidanza, definita come ipertensione cronica in gravidanza, hanno avuto meno esiti avversi della gravidanza rispetto agli adulti che non hanno ricevuto un trattamento antipertensivo. In particolare, le donne che hanno ricevuto farmaci per abbassare la pressione sanguigna al di sotto di 140/90 mmHg avevano meno probabilità di avere un parto pretermine o di avere una delle numerose complicazioni gravi della gravidanza, come la preeclampsia o gestosi. Il trattamento dell’ipertensione non ha compromesso la crescita fetale. I ricercatori hanno scoperto che dei partecipanti che hanno ricevuto un trattamento antipertensivo, il 70% non ha avuto esiti negativi importanti della gravidanza, mentre il 30% ha manifestato uno dei seguenti esiti: grave preeclampsia, distacco della placenta, parto prematuro; o morte fetale o neonatale.
Le conoscenze mediche su come gestire meglio le gravidanze sono state notevolmente implementate negli ultimi 30 anni, ma come si vede c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire soprattutto se riguarda la salute infantile.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Pubblicazioni scientifiche
Tita AN et al. New Engl J Med 2022 Apr 2; prestampa online.
Arthurs AL et al. Front Immunol 2022 Mar 25; 13:807750.
Battarbee AN et al. Amer J Perinatol. 2022; 39(1):67-74.
Battarbee AN et al. Amer J Perinatol. 2021; 38(S 01):239-48.

Dott. Gianfrancesco Cormaci

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