Amlexanox, un immunomodulatore antinfiammatorio approvato, è stato utilizzato per il trattamento della rinite allergica, dell’asma bronchiale e della congiuntivite allergica dal 1987 in Giappone. Il suo meccanismo d’azione potrebbe essere associato alla riduzione del rilascio di istamina e leucotrieni dai mastociti attraverso la usa interazione con la proteina cellulare S100A8. Amlexanox è disponibile in tutto il mondo come crema topica al 5% per il trattamento delle ulcere aftose della mucosa orale. Negli ultimi anni, la possibilità che l’amlexanox possa essere riutilizzato per il trattamento dell’obesità o del diabete mellito di tipo 2 è destinata a generare un vasto interesse. La somministrazione di amlexanox a topi obesi produce una perdita di peso reversibile, migliora la resistenza all’insulina e riduce l’infiammazione metabolica e la steatosi epatica. Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di amlexanox in un sottogruppo di pazienti diabetici con sottostante infiammazione del tessuto adiposo.
Meccanicamente, l’effetto soppressivo dell’amlexanox sull’infiammazione metabolica è stato attribuito alla sua azione inibitoria sulle proteina chinasi IKKε/TBK1. Uno studio clinico randomizzato in doppio cieco pubblicato nel 2017 ha dimostrato che dopo 12 settimane di assunzione di amlexanox, un sottogruppo di pazienti con diabete di tipo 2 ha mostrato una riduzione clinicamente significativa della glicemia. I risultati sono stati confermati anche nei due anni successivi. Studi precedenti avevano scoperto che questi due enzimi sono indotti in topi obesi, causando un calo del dispendio energetico o una riduzione delle calorie bruciate. Ciò ha spinto a cercare inibitori di questi enzimi mediante lo screening di una libreria chimica ed uno degli inibitori è risultato proprio l’amexanox. Dando ai topi obesi l’inibitore li ha fatti perdere peso, mentre la loro sensibilità all’insulina aumentava, migliorando la glicemia e il fegato grasso (steatosi).
La sperimentazione ha rivelato che i cambiamenti genetici che si sono verificati nel modello del topo si sono verificati anche nei soggetti umani. La glicemia nei pazienti in prova clinica è diminuita con la modifica dei geni coinvolti nel dispendio energetico. Una biopsia di cellule adipose dalla parte mediana di ciascun paziente è stata presa prima e dopo lo studio per misurare i cambiamenti nell’espressione genica. Un terzo dei partecipanti allo studio in cieco ha risposto. Tra i responder con steatosi epatica non alcolica, è stato anche osservato un miglioramento. Fra uno dei meccanismi molecolari che è stato decifrato molto recentemente c’è anche il blocco dell’enzima fosfodiesterasi 4 (PDE4B) che serve a regolare le concentrazioni cellulari del secondo messaggero AMP ciclico (cAMP). Questa isoforma enzimatica è espressa anche in molti altri organi e distretti tissutali.
Il che fa pensare che il cAMP esercita effetti antinfiammatori principalmente attivando il suo principale effettore, la proteina chinasi PKA. La PKA attivata può stabilizzare IκB-alfa, che è l’inibitore naturale del fattore di trascrizione NF-κB regolante l’espressione genica infiammatoria. La partecipazione dell’infiammazione cellulare o distrettuale nel diabete è un fattore aggravante ben riconosciuto sulla condizione, sul fenomeno della resistenza insulinica nonché sulla comparsa delle complicanze tardive. Quindi l’amlexanox potrebbe controllare l’infiammazione nel contesto diabetico prendendo di mira l’attivazione dell’NF-kB operata da diverse vie di segnalazione cellulare. Nel pratico, nei tessuti dove prevale la via IKKε//TBK1 il farmaco preferirebbe questi enzimi, mentre in quelli che esprimono più PDE4B, la reazione infiammatoria potrebbe essere controllata meglio con questa via di trasduzione del segnale.
Non a caso, l’antagonista della PDE4 apremilast, ha una risposta rapida e sostanziale per il trattamento delle ulcere aftose, che è proprio una delle indicazioni terapeutiche dell’amlexanox. Nel 2019 un gruppo di ricercatori del dipartimento di Neurologia dell’Università di Hebei, in Cina, ha scoperto che il trattamento di topi con modelli sperimentali classici di sclerosi multipla (EAE) rispondevano bene alla somministrazione di amlexanox. Il farmaco impeddiva la maturazione delle cellule dendritiche derivate dal midollo osseo e recluatate dal sistema nervoso per presentare l’antigene ai linfociti T. Anche in questo caso l’amlexanox ha funzionato come inibitore delle protein chinasi IKKε//TBK1. Il farmaco ha attenuato significativamente lo sviluppo di encefalomielite diminuendo l’infiltrazione infiammatoria e la demielinizzazione nel midollo spinale, accompagnata da una ridotta frequenza di linfociti patogeni Th1 e Th17 e da un aumento dei linfociti Treg.
Il farmaco ha ridotto potentemente le attività di IRF3 e AKT, entrambi substrati di TBK1 e associati alla maturazione delle cellule dendritiche. Ma le sorprese non sono finite. Questa molecola estremamente versatile sembra avere bersagli molecolari che la potrebbero fare reindirizzare nella cura di altre comuni patologie umane. Nel 2020 un gruppo di ricerca giapponese dell’Università di Kyushu stava studiando la proteina chinasi GRK5 nel contesto della degenerazione delle cellule cartilaginee. Analizzando campioni di tessuto normale e proveniente da topi e da pazienti con osteoartrosi, il team di ricerca ha potuto appurare che la proteina chinasi GRK5 era maggiormente espressa nei tessuti cartilaginei malati, dove guidava il catabolismo cellulare e rinforzava l’espressione genica guidata ancora una volta dal fattore NF-kB. Rimuovendo geneticamente la proteina GRK5, i condrociti risultavano più vitali e meno stressati, effetto che si è ottenuto anche trattando le cellule e gli animali malati con amlexanox.
In questo contesto cellulare, gli scienziati hanno visto che il farmaco è anche un inibitore relativamente selettivo della proteina chinasi GRK5. Ciò allunga la lista dei bersagli cellulari di questa straordinaria molecola che è capace di interferire anche con gli enzimi lipossigenasi (5-LOX e 12-LOX), e proteine cellulari calcio-dipendenti (S100A4, S100A6) ampiamente implicate nelle manifestazioni asmatiche. L’ultima frontiera è quella della comunità scientifica che sta cercando di portare prove sostanziali che permettano l’uso di questo farmaco sicuro e ben conosciuto nella lotta ai tumori. Sebbene l’amlexanox possa risultare inibitorio sulla proliferazione delle cellule maligne attraverso le vie PDE4-PKA ed IKK/TBK1/NF-kB, la sua potenza come agente singolo è risultata modesta. Diventa, invece, molto più attivo se combinato a certi farmaci della chemio (docetaxel, TMZ) o agenti bioterapeutici (anticorpi anti-PD-1 e anti-CTLA4). Staremo a vedere quali assi nella manica riserva ancora questa “faccia da poker”.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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