Il cervello controlla tutto ciò che facciamo, dalla nostra percezione del mondo che ci circonda a come muoviamo i nostri corpi e sperimentiamo le sensazioni. Il processo coinvolge i neuroni, che sono cellule che agiscono come messaggeri per trasmettere informazioni tra il cervello e il sistema nervoso. I neuroni inviano informazioni attraverso circuiti complessi in tutto il corpo. Una delle sensazioni quotidiane che incontriamo è il dolore: era il 1664, quando il filosofo e scienziato francese René Descartes affermò per la prima volta che il cervello era responsabile della sensazione di dolore. Il dolore è una sensazione che tutti abbiamo provato e per la maggior parte di noi è un’esperienza temporanea. Tuttavia, per i pazienti con dolore patologico, diventa come un infinito, con poche speranze di sollievo. Gli scienziati hanno creduto a lungo che fosse il risultato di un’attività neuronale disfunzionale e rimane ancora una domanda chiave: in che modo esattamente il cervello umano prova dolore? Nello specifico, il dolore termico, come quando ci si brucia con una fiamma viva o una padella calda ai fornelli?
Un team di ricercatori del dipartimento di neuroscienze della Case Western Reserve University School of Medicine pensa di aver trovato una risposta: che un circuito neurale che coinvolge i neuroni spinali e una via di segnalazione sono responsabili del modo in cui viene percepito il dolore bruciante. Credono che la loro scoperta, pubblicata di recente sulla rivista specialistica Neuron, potrebbe portare a un trattamento più efficace per il dolore cronico e patologico (come il dolore lancinante, lancinante e bruciante) perché potrebbe coinvolgere la stessa via di segnalazione. Il team di ricerca ha esaminato i neuroni nel midollo spinale e il loro ruolo nel dolore termico analizzando modelli murini e la loro risposta alle piastre riscaldate. Durante questo processo, il team ha identificato l’attivazione di una classe “nuova”, o scoperta di recente, di neuroni del midollo spinale (chiamati ErbB4+) che elaborano i segnali di calore al midollo spinale. Questi neuroni ricevono inputs dai nocicettori TRPV1+ e formano sinapsi eccitatorie sui neuroni bersaglio.
TRPV1 è un recettore cellulare presente sui neuroni sensitivi e sulle strutture tissutali deputate a sentire sensazioni di bruciore o prurito. E’ un canale ionico intrinseco che una volta attivato permette l’entrata di ioni sodio e calcio dentro le cellule che stimolano la sensazione di calore. Tanto per rendersi conto delle sue funzioni, è lo stesso recettore cellulare attivato dalla capsaicina, il principio attivo pungente del peperoncino. L’attivazione dei neuroni ErbB4+ migliora la risposta al calore, mentre l’inibizione riduce la risposta al calore. Volevano esaminare ulteriormente se questi neuroni fossero specificamente responsabili del dolore termico. Esistono diversi modi per verificarlo, inclusa la distruzione di questo tipo di neuroni. I ricercatori hanno espresso una tossina specificamente mirata ai neuroni ErbB4+. Una volta distrutti questi neuroni, la risposta al dolore da calore è stata ridotta. Ciò ha dimostrato che i neuroni ErbB4+ sono specificamente legati al modo in cui viene percepito il dolore termico.
Il team ha anche esaminato il ruolo della neuregulina 1 (NRG1), una fattore di crescita coinvolto in molte funzioni cellulari, scoprendo che NRG1 e il suo recettore tirosin-chinasi ErbB4 (spesso indicato come NRG1R) sono coinvolti anche nella sensazione di dolore termico. Il dolore patologico può essere ridotto iniettando un inibitore ErbB4+ o un peptide neutralizzante la NRG1. L’applicazione di queste scoperte può andare oltre il trattamento terapeutico del dolore patologico. Sia NRG1 che ErbB4 sono geni di rischio di molti disturbi cerebrali, tra cui depressione maggiore e schizofrenia. Tutti hanno avuto a che fare con un loro conoscente o parente sofferente di depressione cronica. Spesso gli viene riferito di essere “tutto un dolore”, o di sentire un dolore cocente nell’animo e che si spande in tutto il corpo. La psichiatria affibbia queste sensazioni alla neurochimica alterata presente nel cervello di chi è affetto da depressione. Ma se ciò non fosse vero al 100% e ci fosse una componente spinale reale che provoca questa sensazione?
I dati di questa ricerca sembrano dire di si e quindi non è una semplice questione di carenza di dopamina, serotonina o noradrenalina cerebrale nel contesto della depressione. La sua neurochimica è molto più complicata e coinvolge anche altri ormoni, mediatori ed anche sostanze più complesse dei semplici neurotrasmettitori. C’è inoltre la questione del mal di schiena cronico, che oggi è riconosciuto essere una componente non indifferente della maggior parte dei casi di depressione “mascherata”. Chi ha mal di schiena cronico spesso non ha una vera discopatia, ma un umore alterato a causa di problemi personali, legati alla sfera affettiva o lavorativa. A questo suo dolore cronico possono concorrere anche l’insonnia o comunque una cattiva qualità del sonno che, a loro volta, tendono ad innalzare la soglia del dolore. Unitamente allo stato psicologico del soggetto e alla sua chimica cerebrale alterata, tutto si amplifica venendo riferito e quindi considerato come “dolore patologico”. E in questo caso lo stress cronico può concorrere a preparare il terreno.
Una ricerca molto recente ha dimostrato che la somministrazione prenatale ripetuta di corticosteroidi (simulanti il cortisolo endogeno) in ratte gravide, ha provocato la comparsa di sintomi tipo ansia/depressione nei nati. Il loro ippocampo aveva una maggiore attività proprio della via NRG1/ErbB4. Questa ipotesi è stata rafforzata dagli studi compiuti recentemente sugli effetti antidepressivi della ketamina (si veda “consigliati in questo sito” per approfondimenti). Questo anestetico induce rapidamente uno stato antidepressivo che dura molto più a lungo della sua emivita nel sangue di 2 ore, potendo persistere per alcuni giorni fino ad una settimana. Nei topi stressati la ketamina riduce l’espressione della NRG1 nei neuroni parvalbumina-positivi della corteccia cerebrale degli animali trattati, riducendo quindi la segnalazione del recettore ErbB4. Questo effetto è stato visto persistere per una settimana. Quindi è possibile che tutte le forme di depressione siano in realtà un misto di chimica alterata della cognitività e della percezione del dolore. O almeno di come il nostro cervello percepisce il dolore esterno o mentale.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Consigliati in questo sito
Ketamine pleiotropics: signaling reloaded, neurochemistry revolution, mood resurrection (02/06/2022)
Depressione resistente: arriva la terapia col gas esilarante a resettare il problema? (18/06/2021)
Dolore cronico: le strade dove si incontra con la depressione e le terapie per affrontarlo (13/04/2021)
Parkinson: lo psichedelico “green” è neuroprotettivo e controlla bene l’on-off (09/10/2019)
Psilocibina: il giusto “defrag” per la depressione? (27/02/2018)
Pubblicazioni scientifiche
Wang H, Chen W et al. Neuron 2022 May 6.
Duan J et al. J Psych Neurosci 2021; 46(5):E506.
Yang Q et al. Neuroendocrinology 2021 Sep 30.
Zhang S, Hu S et al. Cell Biol Toxicol 2021 Jun 29.
Grieco SF et al. Transl Psychiatry 2021; 11(1):144.
Gavini CK et al. Sci Rep. 2020 Apr; 10(1):6396.

Dott. Gianfrancesco Cormaci

Ultimi post di Dott. Gianfrancesco Cormaci (vedi tutti)
- Lavoro mentale: come quello fisico ha il suo metabolismo e deve essere soddisfatto per l’efficienza - Agosto 17, 2022
- ThE PAin under the control of omega-3: from neuropathic to rheumatic trying to shut VNUT off - Agosto 17, 2022
- Endotargets to treat ALS: neurology thanks BPH and hypertension for their terazosin borrowing on cue - Agosto 17, 2022
- Nutraceutica: Il nuovo modo di fare guerra all’osteoporosi a tavola - Agosto 17, 2022
- Antibiotico-resistenza: la pandemia silente che si sta facendo strada con i cambiamenti climatici - Agosto 17, 2022