La degenerazione dei dischi vertebrali (IVDD) è una malattia muscoloscheletrica cronica, complessa e multifattoriale, caratterizzata da cambiamenti metabolici e strutturali che portano progressivamente alla perdita di stabilità meccanica e alla funzione di assorbimento degli shock del disco intervertebrale. Attualmente, l’IVDD è una malattia orfana non trattabile, specifica per il trattamento. I trattamenti conservativi disponibili includono riposo a letto, fisioterapia e somministrazione di farmaci analgesici e antinfiammatori, come FANS, steroidi, miorilassanti e oppioidi. Sebbene questi farmaci consentano un efficace sollievo a breve termine, la progressione dell’IVDD non viene modificata e conduce inevitabilmente alla lombalgia cronica. La lombalgia è un problema epidemico che causa disabilità sostanziale. Quasi il 70% degli individui sarà affetto da lombalgia ad un certo punto della propria vita.
Quindi, l’IVDD è una causa importante di mal di schiena. Si stima che circa il 20% degli adolescenti abbia dischi lievemente degenerati e che l’80% della popolazione soffra di mal di schiena ad un certo punto della propria vita, essendo il fattore più limitante di attività per le persone sotto i 45 anni, con una tendenza più giovane. Pertanto, la lombalgia causata da IVDD è diventata la principale lamentela dei pazienti che cercano un trattamento presso le cliniche specialistiche della colonna vertebrale. E’ stato dimostrato che fattori esterni (cattiva postura, sforzi compiuti sul lavoro), voluttuari (fumo di sigaretta), condizioni corporee (principalmente obesità e diabete) e abuso di alcolici fuori pasto (che inducono colite cronica del colon trasverso) incidono molto sulla degenerazione dei dischi vertebrali. Il processo sottostante che fa da scintilla è il persistere di una infiammazione cronica, che molto spesso è clinicamente silente.
Le vedute terapeutiche cliniche più moderne adesso vedono l’opzione di integrazione alimentare ad alto dosaggio come fattibile, cosa che 40 anni fa era vista quasi come un’assurdità. Gli integratori a base di glucosammina e suoi sali, condroitin-solfato e simili sono definiti “condro-protettori” e si ritrovano ormai in commercio sottoforma di decine di formulazioni. Come complemento della loro presunta funzione rigenerante delle cartilagini, nella formulazione si ritrovano altri nutrienti come zinco, rame, manganese, vitamina C ed antinfiammatori naturali come la mirra (Boswellia) e l’artiglio del diavolo (Arpagophyton). Ma sono pochi gli integratori a base di acidi omega-3 che esistono dedicati al problema della discopatia. Questo perché la fama maggiore degli omega-3 è in campo cardiologico, sebbene esistano decine di prove sul loro impiego sperimentale o clinico per malattie reumatiche come l’osteoartrosi, l’artrite reumatoide e similari.
Gli acidi grassi omega-3 influenzano l’infiammazione attraverso diversi meccanismi. Sono associati a cambiamenti nella composizione degli acidi grassi delle membrane cellulari, che possono modificare la fluidità della membrana e la segnalazione cellulare portando a un’espressione genica alterata. Questo perché circa 20 anni fa è stato dimostrato che gli acidi grassi omega-3 possono legarsi a recettori chiamati perossisomiali (PPARs), che controllano molti aspetti del metabolismo degli zuccheri, dei grassi e della biologia cellulare. È stato dimostrato che l’assorbimento alimentare degli acidi omega-3 acido eicosapentaenoico (EPA) e dell’acido docosaesaenoico (DHA) diminuisce l’infiammazione e il dolore attraverso percorsi diversi. L’EPA è un inibitore competitivo diretto dell’acido arachidonico, che viene convertito dalla ciclossigenasi (COX) e dalla lipossigenasi (LOX) nella forma intermedia PGH2 e ulteriormente in eicosanoidi pro-infiammatori.
È stato dimostrato che il rilascio di omega-3 dalle membrane cellulari in risposta a lesioni o percorsi di degradazione naturale inibisce la produzione di eicosanoidi pro-infiammatori. Inoltre, sia l’EPA che il DHA sono substrati per la produzione di mediatori specializzati chiamati resolvine, una classe ampia e in crescita di biolipidi di segnalazione cellulare che svolgono un ruolo importante nella risoluzione dell’infiammazione acuta e del dolore. Ricerche più recenti hanno evidenziato che gli omega-3 hanno un loro recettore sulla superficie cellulare, chiamato GPR120, che sopprime l’attivazione della proteina nucleare NF-kB responsabile della sintesi di citochine infiammatorie. Non ultimo, uno studio di pochi giorni fa ha provato che uno dei due omega-3, l’EPA, riduce il dolore neuropatico perché lega selettivamente un canale ionico (VNUT) coinvolto nelle sensazioni dolorifiche.
Le prove precliniche sull’uso degli acidi grassi omega-3 per trattare la lombalgia da degenerazione discale ci sono. Gli animali da esperimento con discopatia cui si somministrano omega-3 per alcune settimane attraverso la dieta, hanno dischi vertebrali meno infiammati, più idratati e con forma fisiologica pressoché mantenuta, e comunque con un certo grado di recupero rispetto allo stato prima dl trattamento. La somministrazione di 5 g di EPA e DHA al giorno per 6 settimane a soggetti umani sani ha ridotto i livelli di citochine infiammatorie e il rapporto Ara/EPA da 23 a 2,5, che è favorevole ad evitare reazioni infiammatorie spontanee. I meccanismi completi sottostanti agli effetti non sono conosciuti, ma anche effetti antiossidanti indiretti come precedentemente riportato in applicazione combinatoria con vitamina E possono contribuire, poiché è stata dimostrata un’associazione tra stress ossidativo e degenerazione discale.
Mentre è improbabile che uno dei due acidi grassi omega-3 o insieme possano trovare impiego stabile come cura o prevenzione della discopatia, è più verosimile che l’integrazione di omega-3 si possa affiancare alle dosi ridotte di FANS o altri antidolorifici o antinfiammatori. Questo è diretto riflesso della pratica clinica e della percezione del dolore da parte del paziente. Sebbene il dolore sia un processo essenziale per svariati aspetti della biologia e della patologia umana, nessuno accetta il dolore specie quando diventa invalidante o compromette le attività quotidiane. Gli effetti antinfiammatori ed antidolorifici degli omega-3 richiedono qualche settimana, e non un paio di ore come quelli esercitati dai comuni analgesici. Ecco perché quasi sicuramente l’integrazione alimentare con omega-3 rimarrà di complemento alla terapia analgesica. Tuttavia, considerata la loro essenzialità e le prove scientifiche a loro carico, una dieta ricca in omega-3 naturali può essere di ulteriore complemento preventivo per chi soffre o è predisposto alla discopatia.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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