Le purine sono molecole presenti nell’acido nucleico e vengono rilasciate dalle cellule che vengono scomposte durante la digestione del cibo e durante il normale ricambio cellulare in vari tessuti del corpo. L’ipoxantina è una sostanza chimica generata durante il metabolismo delle purine. L’ipoxantina viene convertita in xantina attraverso l’enzima xantina ossidasi, quindi la xantina viene convertita in acido urico come prodotto di scarto. L’allopurinolo è un inibitore dell’enzima xantina ossidasi (XOS). Questo farmaco viene metabolizzato in un’altra sostanza chimica chiamata oxypurinolo, che è simile all’ipoxantina del prodotto naturale di decomposizione della purina. Questa somiglianza fa sì che si leghi e blocchi l’enzima che converte l’ipoxantina in xantina. Poiché la xantina è il precursore dell’acido urico, questa inibizione riduce i livelli ematici di acido urico stesso.
Precedenti studi hanno concluso che il trattamento con allopurinolo riduce il tasso di progressione della malattia renale cronica. Circa tre quarti delle persone con insufficienza renale cronica presentano livelli elevati di acido urico nel sangue e pertanto i ricercatori hanno ritenuto che livelli elevati di urato siano correlati a un rischio più elevato di insufficienza renale cronica. I ricercatori hanno esaminato la velocità con cui la funzionalità renale si è deteriorata nel gruppo di pazienti trattati con allopurinolo e in quelli senza di essa. Hanno scoperto che la funzione renale è diminuita a un ritmo simile nei pazienti che assumevano allopurinolo e in quelli che assumevano placebo. In altre parole, la teoria che aumentando i livelli ematici di urato causa un peggioramento della funzionalità renale probabilmente non è corretta. Invece, probabilmente indicano una compromissione della funzionalità renale.
Quello che molto spesso si dimentica è che l’acido urico viene prodotto dal nostro corpo per delle ragioni. La maggiore è sicuramente quella di fungere da prodotto di scarto del metabolismo azotato, come lo sono urea e creatinina, ma esso ha alcune funzioni fisiologiche nelle cellule umane. Ci sono diverse prove che l’acido urico si comporta come una molecola simile alla vitamina C che neutralizza alcune specie reattive di ossigeno (ROS) o azoto (RNS). Esiste un range di quantità per cui nel sangue umano l’acido urico è naturalmente presente: fino a quando si trova in quel range si ammette che non ci siano problemi di salute o malfunzionamenti d’organo. Oltre quel livello si ritiene che esso cominci a comportarsi come una sorta di “bio-tossina”. Effettivamente alti livelli di acido urico (superiori a 8-10 mg/100ml) possono condurre a costrizione vascolare, il che significa comparsa di ipertensione.
Come effetto aggiuntivo, compare interferenza sugli effetti metabolici dell’insulina (insulino-resistenza), con comparsa di uno stato simil-diabetico. Intorno agli inizi del 2000 si fece avanti l’ipotesi che l’allopurinolo potesse essere utilizzato come farmaco sicuro anche nel trattamento dello scompenso cardiaco. Il razionale di fondo non era interamente sbagliato, poiché la XOS è parzialmente iperattivata nelle cellule cardiache che, nello scompenso cardiaco sono sottoposte ad uno stress ossidativo maggiore. Siccome il processo enzimatico della XOS comprende dei passaggi in cui si ha la produzione di superossido (una specie reattiva dell’ossigeno), la sua inibizione farmacologica avrebbe dovuto comportare un certo effetto protettivo del farmaco sulle cellule cardiache. Ma, prendendo per buono il razionale di fondo, non esistono tantissimi studi che provano la necessità o l’utilità di usare l’allopurinolo nella gestione dello scompenso cardiaco.
L’acido urico alto che può comparire in questa condizione è sicuramente da riferire alla perdita di massa cellulare dovuta al progressivo deterioramento del cuore. Ma anche con ciò non giustifica del tutto l’iperuricemia: nella grande maggioranza di questa tipologia di pazienti c’è anche la costante compresenza di forme di diabete ed altra compromissione metabolica nelle quali una variabile costantemente presente è il rialzo dell’acido urico sanguigno. Infine, non bisogna dimenticare che il cardiopatico grave è un soggetto che non fa molto movimento, è generalmente un anziano ultrasettantacinquenne e tende a minimizzare il movimento fisico fino ad arrivare a qualche breve camminata quotidiana. Questo è un ulteriore fattore aggravante la perdita di massa muscolare, che come segnale di progressione fa vedere proprio il rialzo dei livelli di acido urico.
Sarebbe più logico incentivare la nutrizione e l’introito proteico di questi pazienti, con alimenti non densi di energia ma piuttosto abbondanti in proteine “nobili” come legumi, uova, soia ed altri cereali ad alto tasso di proteine come il grano saraceno o la quinoa. La funzionalità cardiaca dipende da quando questo muscolo ha substrati per la sua struttura (aminoacidi e proteine) e dai substrati che utilizza per la sua regolare funzione. Questi sono gli acidi grassi e non i carboidrati; ecco perché si è parlato di alimenti non densi dal punto di vista energetico bensì nutrizionale. Latte e formaggi non vanno negati al cardiopatico, non fosse altro che sono anch’essi molto ricchi di proteine. Il fattore “colesterolo” non è da demonizzare, poiché il colesterolo alimentare non ha lo stesso destino del colesterolo fabbricato dal fegato durante la notte e bloccato a cena con la pillola della “statina”.
Se uova e formaggi possono contenere colesterolo, non significa eliminarli completamente dall’alimentazione ma introdurne quanto basta per la nutrizione del paziente. Anche la carne serve al paziente cardiopatico, poiché è una fonte di creatina, carnitina, taurina e coenzima Q che servono alla produzione di energia per il muscolo cardiaco. Considerato che la carne è un alimento classicamente associato all’acido urico, è logico pensare di evitarla nel paziente cardiopatico: nulla di più sbagliato. Come ogni alimento, sono le quantità giuste a tenere al suo posto la bilancia della salute. Inoltre, è di recente pubblicazione un lavoro al Congresso della Società Europea di Cardiologia tenutosi a fine agosto, che afferma che l’uso terapeutico dell’allopurinolo nella malattia cardiaca ischemica o nell’abbassare i livelli di acido urico dopo l’ischemia stessa non trova giustificazione, data l’assenza di evidenti vantaggi dati dall’assunzione del farmaco.
Lo studio ha fatto vedere che non sono emerse differenze tra i gruppi in nessuno degli esiti secondari relativi al tempo all’evento, che includevano infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, morte cardiovascolare, ricovero per sindrome coronarica acuta o rivascolarizzazione coronarica o per scompenso cardiaco. L’acido urico, come detto prima, è un prodotto di scarto del metabolismo azotato; ma ha anche delle funzioni biologiche precise, fra cui anche quelle di metabolita antiossidante. Non farebbe meraviglia che il sistema, alle prese con uno scompenso cardiaco dagli esiti inesorabili, sfrutti la produzione di acido urico come protezione aggiuntiva, vista la presenza di stress ossidativo e la carenza di antiossidanti per far fronte al problema. Un meccanismo che potrebbe essere stato mal interpretato dalla clinica.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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