La fragilità è definita come una ridotta riserva fisiologica e capacità di far fronte a stress acuti. La prevalenza della fragilità è maggiore negli anziani, ma non è considerata parte del normale invecchiamento. Un problema con la sindrome della fragilità è come differenziare l’invecchiamento normale da quello fragile, cioè come diagnosticare la fragilità. In questo contesto, nel 2001 è stata fornita una definizione chiave; una persona soffre della sindrome della fragilità se sono presenti tre o più dei cinque seguenti criteri: perdita di peso, debolezza del fisico, lentezza e inattività. Un altro problema con la sindrome della fragilità deriva dal termine stesso. Frequentemente, il termine fragilità è clinicamente usato come comorbidità o disabilità legate all’età, ma questi non sono sinonimi. Infatti, la comorbidità dovrebbe essere un passo indietro rispetto alla fragilità e la dipendenza dovrebbe essere un passo avanti. Oltre alla sua elevata prevalenza, la rilevanza clinica della sindrome da fragilità risiede nell’aumento della morbilità, disabilità e persino mortalità di questi pazienti.
Evidentemente, la sarcopenia, la perdita di massa muscolare, è uno dei principali fattori coinvolti nello sviluppo della fragilità. Diversi autori si riferiscono a questa sindrome come fragilità fisica. Pertanto, gli approcci terapeutici si sono concentrati su interventi comportamentali per evitare la perdita di massa muscolare, come programmi nutrizionali e di attività fisica; tuttavia, ci concentreremo sui precedenti interventi. Fino alla metà degli adulti di età superiore agli 85 anni vive con fragilità e quindi sono necessarie misure preventive. Il modo in cui si sviluppa la fragilità è ancora oggetto di dibattito, ma sono stati rilevati diversi fattori, principalmente sarcopenia o perdita di massa muscolare. Qui, lo stato nutrizionale è stato identificato come un fattore chiave nella prevenzione dello sviluppo della sindrome da fragilità. Diversi studi hanno trovato diverse associazioni tra stato nutrizionale, assunzione di nutrienti e sviluppo della fragilità, ma i fattori che sembrano esercitare un’influenza maggiore sono l’assunzione di calorie, l’introito di proteine, vitamina D e calcio.
Il fattore calorico ha sicuramente la sua importanza, dato che carboidrati e grassi forniscono la maggior parte dell’energia metabolica da mettere a diposizione per il nostro corpo. Tuttavia, se le ipotesi in corso sulla sarcopenia muscolare hanno ragione, è alle proteine che ci si deve rivolgere di più. L’energia possono darla gli zuccheri, ma sono le proteine a fare la costituzione delle strutture corporee portante, ovvero, muscoli ed ossa. Il calcio e la vitamina D, questo frangente, possono avere la loro importanza nel mantenere la stabilità dello scheletro. Ma si ricorda che nelle ossa non c’è solo calcio, bensì anche fosforo, altri elementi minerali e una componente di matrice a base di proteine (collagene ed elastina). Se lo scheletro ha la sua stabilità, il tono muscolare viene dalla quantità di proteine presenti: lo sanno bene gli allettati ospedalieri o domiciliari cronici per ragioni forzate, che vedono “svanire” la loro massa muscolare per l’immobilizzazione, a causa della scarsa attività fisica e, spesso, per la poca ricchezza di nutrienti ai loro pasti.
In una nuova ricerca, gli investigatori del Brigham and Women’s Hospital, un membro sanitario fondatore del Brigham General System, si sono interessati a esaminare se l’integrazione di vitamina D3 o di acidi grassi omega-3 riducesse il rischio di fragilità legata all’età. I ricercatori hanno analizzato i dati del VITamin D e dell’OmegA-3 TriaL (VITAL), uno studio clinico su oltre 25.000 adulti statunitensi, guidato anche da ricercatori del Brigham. I partecipanti hanno completato i questionari prima dell’inizio dello studio, 6 mesi dopo il suo inizio e ogni anno per tutta la durata di cinque anni dello studio. La valutazione della fragilità includeva misure di funzione fisica, cognitività, umore e salute generale. I ricercatori hanno scoperto che né la vitamina D3, né l’integrazione di acidi grassi omega-3, hanno avuto alcun effetto sui punteggi di fragilità durante il periodo di tempo. Concludono che questi risultati non supportano l’uso di routine di integratori di vitamina D3 o omega-3 per la prevenzione della fragilità negli anziani generalmente sani.
Vitamina D ed omega-3 al contrario, possono avere un impego razionalizzato a mantenere una buona funzionalità immunitaria e nervosa nei soggetti anziani e fragili per ragioni mediche. La perdita del controllo immunitario può essere causa di maggiore suscettibilità alle infezioni in questi soggetti. L’infiammazione cronica dettata dall’invecchiamento (oggi definita “inflamm-aging”) è una riconosciuta causa sottostante al progredire della sarcopenia muscolare e della fragilità senile. Le infezioni e le infiammazioni in generale, infatti, producono maggiori quantità circolanti di citochine infiammatorie. Alcune di esse (specie il TNF-alfa e la IL-1) sono cataboliche ed inducono anche la degradazione delle proteine muscolari. Gli acidi grassi omega-3 per contro, contribuiscono ad una buona funzionalità del sistema nervoso, renale e circolatorio. Il loro impiego potrebbe non revertire la fragilità, ma potrebbe contribuire a mantenere la funzione cardiocircolatoria a vantaggio di un miglior funzionamento cerebrale.
Anche quest’ultimo, infatti, non va sottovalutato. Il sostegno lo danno le ossa, la forza la danno le proteine, ma la volontà di muoversi e reagire viene dal cervello. JoAnn Manson, MD, direttrice principale dello studio VITAL e capo della Divisione di Medicina Preventiva al Brigham, ha commentato: “I nostri nuovi risultati di VITAL sono in linea con i risultati precedenti che non suggeriscono un ruolo della vitamina D3 o omega-3 integratori per la maggior parte degli anziani sani, residenti in comunità. Dovremmo prendere in considerazione l’eliminazione delle pillole non necessarie e promuovere invece abitudini di vita sane. L’esercizio fisico regolare e la dieta Mediterranea sono strategie comprovate per la prevenzione della fragilità e dovrebbero essere incoraggiate per tutti gli anziani. Inoltre, i nostri nuovi dati sono un importante promemoria del fatto che gli integratori alimentari non sono pillole miracolose o elisir di giovinezza”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Pubblicazioni scientifiche
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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