Le malattie reumatiche autoimmuni colpiscono milioni di persone in tutto il mondo e includono l’artrite reumatoide, il lupus e la sindrome di Sjögren, tutte con alti tassi di morbilità. Sebbene la patogenesi sia abbastanza ben definita, è ancora difficile fornire strategie terapeutiche mirate. Di conseguenza, gli attuali trattamenti sopprimono i sintomi (infiammazione), ma non sono selettivi, il che significa che i farmaci hanno effetti collaterali. A questo proposito, i farmaci spesso causano cambiamenti cellulari e nel metabolismo, esponendo i pazienti a un maggior rischio di comorbilità come le malattie cardiovascolari. Tipici farmaci somministrati in queste malattie sono i cortisonici, il methotrexate, la mesalazina e l’idrossi-clorochina. Alcuni di questi, specie gli steroidi e l’idrossi-clorochina, causano alterazioni epatiche che coinvolgono il metabolismo dei carboidrati e dei grassi. Una revisione su larga scala condotta quest’anno dai ricercatori dell’UCL ha ora scoperto che le nuove terapie progettate per regolare meglio il metabolismo dei grassi potrebbero ridurre significativamente gli effetti collaterali dannosi causati dai trattamenti convenzionali.
Per lo studio i ricercatori hanno eseguito una revisione della letteratura di oltre 200 studi per valutare e interpretare ciò che è noto sugli effetti avversi e sui meccanismi di azione delle attuali terapie sul metabolismo lipidico, sulla funzione delle cellule immunitarie e sul rischio cardiovascolare. I risultati hanno scoperto che le attuali terapie possono sia migliorare che peggiorare il metabolismo dei lipidi, e uno di questi cambiamenti potrebbe causare infiammazione e un aumento del rischio di cardiovasculopatie. Molti farmaci convenzionali richiedono anche il metabolismo cellulare per la loro conversione in prodotti terapeuticamente efficaci. Tuttavia, il metabolismo dei farmaci spesso comporta la formazione aggiuntiva di sottoprodotti tossici e le velocità del metabolismo dei farmaci possono differire tra i pazienti. La maggiore trasformazione farmacologica avviene a livello del fegato, la stazione metabolica principale per tutti i farmaci. Non è infrequente, invero, ritrovare pazienti in terapia cronica per qualche malattia autoimmune, specie l’artrite reumatoide, a cui viene riscontrata la steatosi epatica (fegato grasso).
La revisione ha rilevato che un migliore controllo dell’infiammazione utilizzando combinazioni ottimali di trattamenti immunosoppressivi potrebbe portare a un migliore profilo metabolico/lipidico nei pazienti affetti. Tuttavia, ha anche rivelato che molti studi hanno dimostrato che farmaci come le statine non sono sufficienti per ridurre il rischio cardiovascolare in alcune malattie autoimmuni, potenzialmente perché non possono ripristinare completamente le proprietà antinfiammatorie. Facendo riferimento ad esempio al cortisone, è noto che ha una forte influenza sul metabolismo dei carboidrati e dei grassi. Il suo uso cronico causa notoriamente sovrappeso e obesità secondari. Altri immuno-modulatori come l’idrossi-clorochina (il noto Plaquenil) influenzano molto la funzionalità epatica nel tempo, facendo rialzare le transaminasi e comparire la steatosi (fegato grasso). L’altro immunosoppressore classico, il methotrexate (Reumaflex), oltre a danneggiare il midollo osseo (anemia), disturba fortemente il metabolismo del fegato e dei reni. Infine, la leflunomide (Arava), è già a priori non utilizzata in caso di problemi epatici esistenti, bassi valori di potassio nel sangue e diabete.
A questo proposito, il dottor George Robinson dell’University College di Londra, autore principale dello studio, ha commentato: “In questa recensione abbiamo cercato di comprendere l’effetto delle terapie convenzionali ed emergenti sul metabolismo lipidico nei pazienti con malattie reumatiche autoimmuni. Gli effetti avversi sfavorevoli fuori bersaglio delle attuali terapie offrono un’opportunità per combinazioni ottimali di co-terapie mirate al metabolismo lipidico, che potrebbe ridurre le complicanze immunitarie e il potenziale aumento del rischio cardiovascolare nei pazienti. Rispetto ai farmaci convenzionali, per esempio, i farmaci biologici hanno in media meno effetti collaterali ed infatti si cerca di puntare verso queste terapie che richiedono, fra l’altro, somministrazioni distanziate. Nuove tecnologie terapeutiche e la ricerca hanno inoltre evidenziato vie metaboliche alternative che possono essere mirate in modo più specifico per ridurre l’infiammazione, ma anche per prevenire una conseguenza e metabolici fuori bersaglio di farmaci antinfiammatori convenzionali. La scienza ci sta lavorando sopra”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Robinson G et al. J Clin Invest 2022; 132(2):e148552.
Cao F et al. Pharmacol Res. 2020 Oct; 160:105054.

Dott. Gianfrancesco Cormaci

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