Si stima che 55 milioni di persone in tutto il mondo vivano con la demenza, un numero che dovrebbe aumentare con l’invecchiamento della popolazione mondiale. Per trovare trattamenti che possano rallentare o arrestare la malattia, gli scienziati devono comprendere meglio i fattori che possono causare la demenza. I ricercatori della Tufts University hanno completato il primo studio esaminando i livelli di vitamina D nel tessuto cerebrale, in particolare negli adulti che soffrivano di tassi variabili di declino cognitivo. Hanno scoperto che i membri di questo gruppo con livelli più alti di vitamina D nel cervello avevano una migliore funzione cognitiva. La vitamina D supporta molte funzioni nel corpo, comprese le risposte immunitarie e il mantenimento di ossa sane. Le fonti alimentari includono pesce grasso e derivati (il primo è l’olio di fegato di merluzzo), il latte intero e le bevande fortificate (come il latte trasformato o il succo d’arancia); anche una breve esposizione alla luce solare fornisce una certa dose di vitamina D.
Molti studi hanno implicato fattori dietetici o nutrizionali nelle prestazioni o funzioni cognitive negli anziani, compresi molti studi sulla vitamina D, ma tutti si basano su assunzioni dietetiche o misurazioni del sangue di vitamina D. Il team ha esaminato campioni di tessuto cerebrale di 209 partecipanti al Rush Memory and Aging Project, uno studio a lungo termine sul morbo di Alzheimer iniziato nel 1997. I ricercatori della Rush University hanno valutato la funzione cognitiva dei partecipanti, persone anziane senza segni di disturbi cognitivi, mentre invecchiavano, e hanno analizzato le irregolarità nel loro tessuto cerebrale dopo la morte. Nello studio, i ricercatori hanno cercato la vitamina D in quattro regioni del cervello: due associate a cambiamenti legati al morbo di Alzheimer, una associata a forme di demenza legate al flusso sanguigno (demenza vascolare) e una regione senza alcuna associazione nota con declino cognitivo correlato a malattia di Alzheimer o malattia vascolare.
Hanno così scoperto che la vitamina D era effettivamente presente nel tessuto cerebrale e che alti livelli di vitamina D in tutte e quattro le regioni del cervello erano correlati a una migliore funzione cognitiva. Tuttavia, i livelli di vitamina D nel cervello non si associavano a nessuno dei marcatori fisiologici associati alla malattia di Alzheimer nel cervello studiato, inclusi l’accumulo di placca amiloide, la malattia del corpo di Lewy o l’evidenza di ictus cronici o microscopici. Ciò significa che non è ancora chiaro esattamente come la vitamina D possa influenzare la funzione cerebrale. Le azioni classiche della vitamina D avvengono attraverso il recettore nucleare (VDR), che dopo il legame della vitamina si è traslocato nel nucleo e ha attivato un programma di espressione genica. Il VDR legato al ligando preferisce la dimerizzazione con il recettore dei retinoidi X (RXR) per la regolazione della trascrizione di un insieme di geni contenenti elementi di risposta alla vitamina D (VDRE) nelle loro regioni di promotore/regolazione.
Questa potrebbe essere una prima modalità per controllare l’omeostasi neuronale e la cognitività. La vitamina D esercita anche azioni non genomiche sul cervello. L’azione non genomica del suo recettore (VDR) è una rapida risposta che parte dalla membrana cellulare che può attivare le MAP-chinasi (ERK-1 e -2), ma non sembra richiedere l’interazione VDR-RXR. Piuttosto i dati indicano l’interazione tra VDR e il soppressore tumorale p53. I ricercatori stanno pianificando studi di follow-up utilizzando un gruppo più diversificato di soggetti per esaminare altri cambiamenti cerebrali associati al declino cognitivo. Sperano che il loro lavoro porti a una migliore comprensione del ruolo che la vitamina D può svolgere nell’allontanare la demenza.
Sarah Booth, autrice senior e direttrice del Jean Mayer USDA Human Nutrition Research Center on Aging (HNRCA) di Tufts, ha spiegato: “La demenza è multifattoriale e molti dei meccanismi patologici sottostanti non sono stati ben caratterizzati. La vitamina D potrebbe essere correlata a risultati che non abbiamo ancora considerato, ma che intendiamo studiare in futuro. Volevamo sapere se la vitamina D è presente anche nel cervello e, in caso affermativo, in che modo tali concentrazioni sono collegate al declino cognitivo. La nostra ricerca rafforza l’importanza di studiare come cibo e sostanze nutritive creino resilienza per proteggere il cervello che invecchia da malattie come l’Alzheimer e altre forma di demenza. Ora sappiamo che la vitamina D è presente in quantità ragionevoli nel cervello umano e sembra essere correlata con un minore declino della funzione cognitiva. Ma abbiamo bisogno di fare più ricerca per identificare la neuropatologia a cui la vitamina D è collegata nel cervello, prima di iniziare a progettare interventi mirati”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Kyla Shea M et al. Alzheimers Dementia 2022 Dec 7; in press.
Lai RH, Hsu YY, Shie FS et al. Aging Cell 2021; 20(12):e13509.
Di Meco A, Curtis ME et al. E.Biol Psychiatry 2020; 87(9: 797–807.
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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