Il lavoro a turni, in cui le normali ore di lavoro di un individuo sono, in parte, al di fuori del normale periodo di lavoro giornaliero e interrompono il ritmo circadiano, è diventato sempre più comune con lo sviluppo socioeconomico. Il lavoro a turni è solitamente accompagnato da orari lunghi, basso reddito, cattivo ambiente di lavoro e maggiori tensioni soggettive, e può portare a una serie di problemi di salute. Studi precedenti hanno scoperto che il lavoro a turni era associato a un aumento del 5% di rischio di ictus ischemico, del 23% del rischio di infarto, fino al 40% di aumento del rischio di diabete di tipo 2 e al 19% di aumento del rischio di cancro al seno, il che potrebbe contribuire allo sviluppo della demenza senile. Inoltre, studi recenti hanno riportato che la privazione acuta del sonno porterebbe ad un aumento del carico di β-amiloide nel cervello e dei livelli ematici di proteina t-tau. Da cui si potrebbe dedurre che il lavoro a turni a lungo termine potrebbe portare a disturbi del sonno, lasciando potenzialmente così i lavoratori con una maggiore incidenza di demenza.
Prendendo in considerazione questi impatti negativi, il lavoro a turni può essere un importante fattore di rischio per la demenza. È stato stimato che il numero di demenze per tutte le cause raggiungerà i 65 milioni entro il 2030 e i 113 milioni entro il 2050 in tutto il mondo. Per decenni, sfortunatamente, gli studi volti a trattare la demenza si sono per lo più conclusi con un fallimento. In assenza di agenti terapeutici efficaci, il controllo dei fattori di rischio è cruciale per la prevenzione primaria e secondaria della demenza. Sono stati trovati vari fattori di rischio genetici e ambientali che potrebbero contribuire allo sviluppo della demenza, come obesità, diabete e stili di vita malsani (es. tabagismo, abuso di alcolici, ecc.). In uno studio di coorte basato sulla comunità nella Biobanca del Regno Unito, che ha coinvolto più di 170 mila partecipanti senza compromissione cognitiva o demenza al basale, i ricercatori hanno scoperto che i turnisti al basale avevano un rischio aumentato del 30% di demenza per tutte le cause rispetto ai lavoratori non turnisti durante un periodo medio di follow-up di 12 anni.
Stranamente, tuttavia, tra i turnisti non vi era alcuna associazione significativa tra il lavoro notturno e il rischio di demenza. Inoltre, è stato il primo studio a esaminare l’interazione tra il lavoro a turni e la predisposizione genetica alla demenza, arrivando a scoprire che il rischio di demenza associato al lavoro a turni non differiva significativamente tra i partecipanti a diversi rischi genetici stratificati di demenza. Sebbene alcuni problemi di salute causati dal lavoro a turni possano contribuire allo sviluppo della demenza, come i disturbi metabolici e l’ictus ischemico, il meccanismo con cui il lavoro a turni provoca il deterioramento cognitivo rimane ancora poco chiaro. Gli scienziati hanno dedotto che i disturbi del sonno e il ritmo circadiano interrotto potrebbero essere le principali cause di deterioramento cognitivo tra i turnisti. Cortisolo e melatonina sono due ormoni principali che risentono delle variazioni giorno notte (circadiane). La loro alterazione nell’Alzheimer è ben accertata; è quindi possibile che il deterioramento cognitivo legato al troppo lavoro a turni nel tempo coinvolga lo sbilanciamento di questi due ormoni.
Un’altra scoperta importante della ricerca è stata che le diverse predisposizioni genetiche alla demenza non hanno alterato in modo significativo l’associazione tra lavoro a turni e demenza. Da cui si potrebbe dedurre che i turnisti possono trarre beneficio dalla riduzione della durata o della frequenza del lavoro a turni, indipendentemente dalla predisposizione genetica alla demenza se le associazioni erano causali. Inoltre, l’analisi dei sottogruppi ha indicato che l’impatto del lavoro a turni sulla demenza era più pronunciato nelle persone di età pari o superiore a 60 anni. Considerando che l’età di insorgenza della demenza è solitamente superiore a 80 anni, mentre l’età media al basale dei partecipanti allo studio era di soli 52 anni e il follow-up mediano era di 12 anni, l’associazione tra lavoro a turni e demenza potrebbe essere stata sottovalutata. Se è vero che allentare o variare i turni di lavoro potrebbe proteggere i turnisti, indipendentemente dalla loro predisposizione a sviluppare demenza nella loro vecchiaia, sarebbe opportuno che si rivedessero le direttive e le linee guida di turnazione sul lavoro, con un’apposita consulenza scientifica.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Pubblicazioni scientifiche
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Dott. Gianfrancesco Cormaci

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