Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha rivalutato profondamente il ruolo del cammino nella prevenzione cardiovascolare e nella riduzione della mortalità generale. Una nuova e ampia analisi epidemiologica condotta dal National Institutes of Health (NIH) e pubblicata su Circulation ha evidenziato che non solo la quantità totale di passi giornalieri, ma anche la durata continua delle sessioni di cammino, rappresenta un determinante cruciale dei benefici cardiovascolari. In particolare, camminate superiori ai 10 minuti consecutivi sono risultate associate a una riduzione significativa del rischio di morte per tutte le cause e per malattie cardiovascolari, rispetto a un’attività frammentata in brevi episodi di pochi minuti.
Il cammino rappresenta una forma di esercizio aerobico a bassa intensità ma di elevata sostenibilità, capace di migliorare la funzione endoteliale, la sensibilità insulinica, la variabilità della frequenza cardiaca e il metabolismo lipidico. Tuttavia, la maggior parte delle linee guida tradizionali – come quelle dell’American Heart Association (AHA) e dell’OMS – enfatizzano ancora la quantità complessiva settimanale di attività fisica (150 minuti di intensità moderata o 75 di intensa), trascurando la distribuzione temporale delle sessioni. Lo studio del NIH ha cercato di rispondere a un quesito cruciale: esistono differenze significative tra un’attività quotidiana “distribuita” in episodi brevi (ad esempio camminate di 2-3 minuti per raggiungere l’auto o il lavoro) e un’attività “accumulata” in blocchi più lunghi e continuativi, dal punto di vista degli effetti?
Il beneficio osservato non dipendeva solo dal numero totale di passi, ma dalla continuità dello sforzo: i soggetti che effettuavano camminate più lunghe mostravano una maggiore coerenza della frequenza cardiaca, una riduzione della pressione arteriosa sistolica media e un miglior profilo lipidico. Inoltre, le camminate di durata superiore ai 10 minuti sembrano innescare adattamenti metabolici più marcati, come un incremento prolungato della captazione di glucosio e un miglioramento della funzione mitocondriale nel muscolo scheletrico. Secondo i ricercatori, questi effetti cumulativi contribuiscono a spiegare la riduzione del rischio cardiovascolare osservata.
Le implicazioni dello studio sono significative per la definizione delle future raccomandazioni sull’attività fisica. I risultati suggeriscono che non solo la quantità, ma anche la modalità di distribuzione del movimento quotidiano influisce sulla salute cardiometabolica. L’abitudine a dedicare almeno una o due camminate “ininterrotte” di 10–20 minuti al giorno potrebbe costituire un obiettivo realistico per la popolazione generale, anche per le persone anziane o con ridotta capacità funzionale. Le brevi pause di movimento rimangono utili per ridurre la sedentarietà, ma i benefici cardiovascolari più rilevanti sembrano derivare da periodi di esercizio sostenuto, in grado di determinare un aumento più stabile della frequenza cardiaca e della perfusione muscolare.
Tra i limiti dello studio si annoverano la natura osservazionale, che non consente inferenze causali definitive, e la possibile sovrastima della durata effettiva del cammino dovuta all’uso di accelerometri. Tuttavia, la dimensione del campione e la consistenza dei risultati su differenti sottogruppi (età, sesso, BMI) conferiscono robustezza alle conclusioni. Ulteriori studi randomizzati potrebbero esplorare la soglia ottimale di durata della camminata e la relazione dose-risposta, includendo parametri oggettivi di fitness cardiovascolare (VO₂ max, rigidità arteriosa, funzione endoteliale). La crescente disponibilità di dispositivi indossabili consentirà di personalizzare le raccomandazioni, incentivando programmi di cammino prolungato adattati alle diverse condizioni cliniche.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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