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Esitazione vaccinale da disinformazione: la scienza ritiene che si debbano correggere i comportamenti oltre che le notizie

Campagne di vaccinazione efficaci a livello di popolazione sono fondamentali per la salute pubblica. Le controcampagne, vecchie quanto i primi vaccini, possono interromperne la diffusione e minacciare la salute pubblica a livello globale. Anche prima di marzo 2020, l’esitazione vaccinale era direttamente collegata alla disinformazione sui social media. Una volta che il COVID è diventato una pandemia, i social sono stati riconosciuti come l’epicentro dell’informazione che porta all’esitazione nei confronti dei vaccini.

Lo affermano gli scienziati del Dipartimento di Media e Informazione della Michigan State University, parte di un team internazionale che studia gli effetti dannosi della disinformazione sui vaccini sui social media e gli interventi che possono aumentare la diffusione dei comportamenti avversi. Un gruppo di ricercatori di questo dipartimento si è incaricato di indagare la questione e il suo impatto sociale. Il team, guidato dal professor Kai Ruggeri del Columbia College, ha recentemente pubblicato uno studio sul British Medical Journal.

Anna Argyris, professoressa associata presso la Michigan State University, ha dichiarato: “La disinformazione non è una novità e le sue conseguenze nocive non sono insormontabili, ma il suo effetto sull’esitazione vaccinale attraverso i social media rappresenta un’urgente minaccia globale per la salute pubblica. Prove sempre più solide hanno dimostrato i fattori ed effetti di questo fenomeno, ma esistono pochi interventi di successo. La mia ricerca mira ad alleviare pregiudizi, errori di valutazione e ritardi nel processo decisionale, migliorando così l’efficacia e l’efficienza e, di conseguenza, l’equità e la qualità della vita nella nostra società”.

Nell’indagine il team delinea 10 approfondimenti, basati sulla ricerca esistente, che dovrebbero aiutare a fornire un kit di strumenti chiaro, specifico e basato sull’evidenza per ridurre l’esitazione vaccinale fra la popolazione:

  1. I sentimenti negativi sui social media potrebbero aumentare l’esitazione vaccinale più velocemente di quanto gli interventi la riducano.

Esistono ampie prove di una proliferazione di messaggi anti-vaccino sui social media che portano ad azioni offline organizzate e ad una maggiore esitazione. Ci sono meno prove che gli sforzi per mitigare specificamente la disinformazione abbiano avuto un effetto affidabile sulla diffusione nel mondo reale.

  1. La messaggistica sembra funzionare meglio quando è adattata a ciò che i gruppi conoscono e di cui si preoccupano.

Una volta che la disinformazione e le opinioni contrastanti prevalgono, è fondamentale parlare direttamente al pubblico, conoscere le ragioni dell’esitazione e inquadrare le informazioni in modo che siano importanti per i singoli individui.

  1. La semplice comunicazione sui benefici e sui rischi basata sulle probabilità non è sufficiente.

I messaggi devono essere trasmessi in modo da affermare i valori culturali individuali, affrontare argomenti importanti per gli individui (non solo fatti sanitari) e utilizza fonti di informazione credibili. Le immagini visive aiutano anche a trasmettere messaggi efficaci.

  1. Correggere la disinformazione rivolta sia ai genitori che ai loro figli.

Rivolgersi ai genitori è chiaramente utile, ma anche i giovani cercano informazioni online per conto proprio. Coinvolgere direttamente genitori e giovani nella progettazione dei messaggi potrebbe rafforzare l’efficacia delle campagne di vaccinazione infantile.

  1. La fiducia conta: il messaggio, il messaggero e il fornitore (vaccinato).

La fiducia è potenzialmente la caratteristica più distintiva delle campagne di vaccinazione di successo, comprese quelle diffuse sui social media. La fonte del messaggio, che sia un operatore sanitario, un politico o un influencer dei social media, avrà probabilmente un ruolo importante nel determinare se gli individui e le comunità ritengano credibili le informazioni. Questi interventi hanno un grande potenziale se forniti alle popolazioni giuste.

  1. Gli sforzi di debunking hanno mostrato effetti contrastanti sui social media.

Diffondere informazioni da istituzioni pubbliche o fornire informazioni di obiezione da parte di terzi potrebbe aiutare a contrastare la disinformazione, ridurre l’intenzione di diffondere disinformazione e promuovere comportamenti sanitari, ma il processo non è sempre agevole. L’effetto di ritorno di fiamma è un modello preoccupante in cui la smentita della disinformazione la rafforza e approfondisce le false credenze.

  1. Migliorare la qualità e la visibilità di informazioni affidabili può contrastare la disinformazione.

L’elevato volume di disinformazione presente nelle ricerche online può prevalere su fonti più affidabili, limitando l’efficacia delle informazioni su come, dove e quando procurarsi un vaccino. Grafica, poster e video aiutano le popolazioni target a vedere e interagire con informazioni accurate e accessibili.

  1. La formulazione dei messaggi sui vaccini è importante.

Una campagna pubblica non può coprire tutti i vaccini, le malattie, le popolazioni e i motivi di esitazione. Formulare messaggi che siano direttamente rilevanti per i bisogni delle popolazioni (affrontare i benefici e i rischi specifici del gruppo di popolazione) hanno comportato un aumento significativo della diffusione del vaccino.

  1. I divieti generalizzati possono portare gruppi e attività alla clandestinità.

I divieti estesi sui social media nei confronti di singoli individui o di contenuti specifici possono paradossalmente provocare la diffusione di disinformazione e possono galvanizzare le camere di risonanza indirizzando la discussione in gruppi privati di social media o forum chiusi.

  1. Le piattaforme di social media devono essere parte della soluzione.

Le società di social media dovrebbero essere più proattive nel gestire l’abbondanza di disinformazione sui loro siti. Rendere disponibili i dati e collaborare con ricercatori e regolatori in tutti i paesi è fondamentale per sviluppare soluzioni efficaci per affrontare la disinformazione.

Discussione e considerazioni

Uno studio randomizzato e controllato del 2021 ha rilevato che l’esposizione alla disinformazione sui vaccini anti-COVID ha ridotto l’intenzione dei destinatari di vaccinarsi, anche tra coloro che avevano riferito prima dell’esposizione che avrebbero “decisamente” accettato la vaccinazione. Risultati simili a livello globale indicano che le dinamiche dei social media hanno esacerbato la condivisione di disinformazione, ridotto i tassi di vaccinazione, minato la fiducia in informazioni affidabili, amplificato la polarizzazione e danneggiato la credibilità percepita delle istituzioni. Queste sfide permangono ancora oggi. Per quanto le 10 considerazioni proposte dal gruppo di ricerca siano inappuntabili, permangono delle difficoltà obiettive.

Cominciando dalla radice, la disinformazione parte generalmente da persone che non hanno una conoscenza dettagliate di ordine medico sui vaccini (in questo contesto), né sui metodi dettagliati della loro produzione, né sulla tecnologia che sta dietro alla loro realizzazione. Spesso, dietro a questi diffusori informatici c’è estremo pregiudizio o avversione nei confronti delle autorità, prevalenza di idee complottistiche intese a far vedere il popolo come “la cavia” su cui poter sperimentare ogni sorta di programma viene elaborato dall’alto. Ed arriviamo direttamente al destinatario: il popolo. Oggi, tutti hanno accesso all’informazione online. Rispetto al passato, dove ci si affidava unicamente alla televisione ed alla radio, l’informazione è disponibile tramite internet e social media.

Ma ecco un intoppo immediato: internet è una fonte dove l’informazione proveniente da siti ufficiali e pseudo-ufficiali è simultaneamente presente. Nei social media non si può parlare di presenza scientifica valida (anche se resta una visione/opinione di questa redazione scientifica). Se le piattaforme social sono l’epicentro della disinformazione, allora le società che l gestiscono possono diventare parte della soluzione. Durante la pandemia di COVID le piattaforme social hanno adottato un approccio più interventista alla moderazione dei contenuti rispetto a prima (e, in alcuni casi, rimosso o limitato la disinformazione e le cospirazioni sul COVID stesso). Alcuni di questi approcci vengono ora annullati e l’accesso dei ricercatori dei social media ai dati sul comportamento sulla piattaforma Global X (ex Twitter) è limitato.

L’etichettatura dei contenuti e le azioni correttive hanno prodotto alcuni effetti positivi, ma le società di social media dovrebbero essere più proattive nel gestire la proliferazione della disinformazione sui loro siti. E questo può essere un problema dentro il problema: la rete è vastissima e per garantire il passaggio di informazioni corrette ci sarebbe bisogno di figure specialistiche in campo medico-scientifico. È altamente improbabile che questo succeda nel mondo reale: diventa molto più semplice citare pubblicazioni ufficiali provenienti da siti scientifici autorevoli e tutto può considerarsi risolto. Da esperienza di ex-ricercatore di questa redazione scientifica, nessuno mette in dubbio le citazioni in sé ma non il fatto di accostarle presso notizie non scientificamente valide che verranno lette e credute.

E come detto prima, non tutti hanno cognizione delle conoscenze medico-tecnologiche che stanno dietro alla scienza vaccinale. Si potrebbe pensare, dunque, che il grado culturale dei riceventi potrebbe essere il fattore di ostacolo maggiore. Potrebbe anche essere che lo sia, ma non è detto sia unico. È stato ampiamente dichiarato anche dai media che buona parte del personale sanitario (si parla di tutte le figure) si è rifiutato di vaccinarsi contro il COVID. La scusa generale è stata che, non essendoci stata una sperimentazione ufficiale umana dietro con documenti ufficiali dichiarati su gli effetti positivi e gli effetti avversi, vaccinarsi avrebbe rappresentato un inutile esporsi a pericolo. La tecnologia a RNA poi è stata sempre equivocata.

È credenza diffusa come disinformazione e/o teoria complottistica che l’uso di acidi nucleici modificati (ingegneria genetica) possa rappresentare una modalità simultanea di poter inoculare nella popolazione un’informazione “genetica” atta a stravolgere la salute fisica o mentale. In verità la prima tecnologia vaccinale ad RNA è comparsa nel 1999; in un articolo pubblicato sulla notissima rivista Nature (vol. 597, 2021), si spiega che le grandi aziende farmaceutiche sono entrate nel campo dell’mRNA alla fine degli anni 2000, poichè le difficoltà di manipolazione dell’RNA negli anni ’80 e ’90 creavano ostacoli oggettivi che ritardavano l’opertività commerciale. Solo i progressi della biologia in laboratorio hanno permesso di ottenere prodotti stabili e destinabili all’uomo.

C’è anche chi ha asserito che questa campagna vaccinale ha permesso la comparsa di molte forme tumorali, nozione della quale non c’è sia prova scientifica nè verosimile. La scienza ha dimostrato senza dubbi che perchè un tumore compaia sono necessari decenni di “incubazione”, conseguenti ad un danno biologico cellulare. Quindi, il problema è che c’è insufficiente conoscenza scientifica/medica “corretta” su internet e sui socials; oppure, il problema è che non c’è la possibilità di distinguere l’informazione giusta da quella propinata dalla disinformazione. Avere accesso all’informazione, dunque, non equivale avere informazione di qualità. E’ molto più facile, inolte, essere distratti da altri interessi propinati dai socials ad opera di influencers ed altre figure “pseudo-carismatiche”.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

Ruggeri K et al. Brit Med J. 2024; 384:e076542.

Ruggeri K et al. Nature. 2024; 625(7993):134-147.

Halilova JG et al. Sci Rep. 2022 Jul; 12(1):11906.

Dolgin E. Nature 2021 Sept 16; 597:318-324.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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