sabato, Luglio 27, 2024

Lo stigma sociale fra gli affetti da HIV: i rischi connessi ad abuso di alcolici e cattiva salute mentale

Lo stigma è un fenomeno sociale noto per avere un impatto negativo sulla vita delle persone che vivono con l’HIV.

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Tuttavia, definire lo stigma correlato all’HIV è difficile a causa dell’intersezione che ha con le disuguaglianze culturali e la discriminazione da parte degli operatori sanitari che misurano lo stigma tra questi soggetti. Lo stigma correlato all’HIV è stato specificato come screditante e discriminante nei confronti delle persone con questa malattia. Costoro spesso affrontano lo stigma in forme che includono lo stigma percepito, messo in atto, anticipato e interiorizzato. Lo stigma percepito è definito dalla discriminazione vissuta dalle persone con questa condizione e può includere atteggiamenti pregiudizievoli da parte della società. Lo stigma attuato include qualsiasi reazione stigmatizzante esternamente, che può portare a un trattamento ingiusto o negativo nei confronti degli individui stigmatizzati. Lo stigma anticipato, invece, è il trattamento negativo che le persone credono che gli altri possano fare se la loro condizione stigmatizzata viene dimostrata o dichiarata. Lo stigma interiorizzato, infine, è l’accordo con gli stereotipi negativi e gli atteggiamenti sociali autonegativi delle persone.

La discriminazione contro le persone con HIV può essere considerata una forma di violazione dei diritti umani. Altre violazioni riguardano i diritti alla salute, il diritto al lavoro, il diritto ad avere una famiglia, il diritto alla privacy, il diritto all’assicurazione e alla sicurezza sociale. È stato riferito che le persone con HIV hanno dovuto affrontare limiti o negazione dell’accesso all’assistenza sanitaria. Lo stigma può derivare da incomprensioni sulla trasmissione dell’HIV e da atteggiamenti di giudizio nei confronti di quei gruppi sociali che sono colpiti dall’HIV. L’AIDS è stato caratterizzato come un’esperienza traumatica e le persone con HIV possono sperimentare lo stigma che può causare disturbi della salute mentale, tra cui disagio emotivo, vergogna, ansia, depressione e ideazione suicidaria. Queste possono avere influenze negative sul trattamento sulla prognosi dell’infezione da HIV. È stato stimato che questi soggetti hanno in media 20 volte più probabilità di sperimentare idee e tentativi di suicidio rispetto al pubblico in generale.

Gli studi sui risultati per la salute associati allo stigma dell’HIV, hanno riportato che il consumo di alcol è aumentato tra i pazienti con HIV che hanno subìto un maggiore stigma. I disturbi da uso di alcol tra le persone con stigma correlato all’HIV sono una delle principali preoccupazioni sapendo che un consumo elevato di alcol è associato a numerose conseguenze dannose come comportamenti sessuali rischiosi che possono aumentare la probabilità di trasmissione dell’HIV. Inoltre, le persone con HIV che hanno disturbi da consumo di alcol hanno circa il 50-60% in meno di probabilità di aderire alla terapia antiretrovirale (ART). Come si può vedere, perciò lo stigma mette in moto una serie di reazioni personali emotive e non che si comportano a mò di “cane che si morde la coda”, infliggendo svantaggi e influenze negative sulla salute mentale di chi è sieropositivo o affetto da AIDS. Il supporto sociale ha un ruolo significativo nell’adattamento psicologico delle persone che hanno l’HIV/AIDS.

Coloro che ricevono uno scarso supporto sociale possono incontrare maggiori difficoltà ad adattarsi ai problemi psicologici da soli. Precedenti studi hanno mostrato che quei soggetti con HIV con scarso supporto sociale erano ad alto rischio di comportamenti suicidi. Il supporto sociale può ridurre i sentimenti negativi legati allo stigma dell’HIV tra le persone affette migliora anche i sentimenti di appartenenza. L’accessibilità al supporto sociale fornisce informazioni rilevanti e guida al trattamento dell’HIV in queste persone. Lo stigma dell’HIV può ridurre le reti sociali e le interazioni sociali a causa dell’isolamento sociale autoimposto e dell’evitare giudizi negativi e sensi di colpa legati all’HIV. Gli studi hanno rivelato che la condivisione dello stato sieropositivo con la famiglia, gli amici o il personale sanitario può portare allo stigma sociale e all’isolamento o all’esclusione da parte dellacomunità. I dati in possesso della letteratura scientifica hanno anche suggerito che la mancanza di supporto sociale può indurre la depressione nelle persone con HIV.

Ovviamente non tutte le forme di cattiva salute mentale compaiono simultaneamente in chi convive con l’AIDS. A secondo della personalità, delle fragilità personali, del terreno emotivo e il bagaglio di esperienze acquisite, ci possono essere coloro che sfogano la loro paura o frustrazione nell’abuso di alcolici, chi si abbandona a sentimenti di depressione e chi sfoga la sua rabbia nei comportamenti sessuali sregolati e possibilmente privi di adeguata protezione personale. Il supporto sociale, dunque, è il primo passo verso la protezione collettiva di coloro che convivono con l’HIV. Ma proprio qui sta l’impatto della sfida maggiore: è necessaria una maggiore consapevolezza ed educazione sociale al problema tradotto verso chi è affetto dalla condizione. Quando 40 anni fa ci fu il boom epidemico, i comportamenti stigmatici potevano giustificarsi per la scarsa conoscenza della malattia. Nel corso dei decenni, le conoscenze si sono completate ma resiste ancora l’associazione “culturale” che contrarre l’HIV equivalga ad assumere comportamenti eticamente o moralmente poco idonei alla norma.

Dimenticandosi che infliggere volontariamente pregiudizio, indifferenza e condurre le persone alla tristezza o alla sofferenza non è migliore delle eventuali scelte fatte da costoro. Allora cosa si può fare per migliorare o restringere lo stigma sociale fra gli affetti da HIV? Secondo il parere di alcune persone intervistate da questa redazione scientifica, bisognerebbe educare e sensibilizzare in prima battuta chi lavora nel sanitario ed anche nell’ambito familiare, facendo comprendere che coloro che sono sieropositivi sono persone normalissime, che hanno la capacità nel comprendere e quindi accorgersi di eventuali atteggiamenti discriminatori oppure di “paura” nei loro confronti. Secondo punto, bisognerebbe mettere a loro agio coloro che sono affetti da AIDS o sieropositivi, dato che come dichiarato dagli intervistati, sono persone con “un cuore, emozioni e sentimenti”. Terzo punto, si reputerebbe necessario che il loro cammino terapeutico comprenda l’assistenza da parte di psicologi che si prendano cura del lato emotivo e lo gestiscano correttamente durante tutto il percorso.

Uno degli intervistati ha dichiarato che “non bastano solo le parole di una bella campagna per la prevenzione, dove si incita di usare mezzi di protezione durante i rapporti sessuali personali, ma servirebbero più investimenti per l’educazione sessuale a livello scolastico poiché dentro l’ambito familiare parlare di suddetti argomenti oggi in molte parti del mondo è ancora tabù. Quindi sarebbe meglio avere dei docenti dedicati ed esperti del campo, piuttosto che i ragazzi si affidino alle nozioni fai-da-te che si scambiano per loro inesperienza o per via dei social media”.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Armoon B et al. Int J Ment Health Syst. 2022 Mar; 16:17.

Zeng C, Li L et al. BMC Public Health. 2018; 18(1):138.

Wardell JD et al. Ann Behav Med. 2018; 52(9):762–772.

Rueda S, Mitra S et al. BMJ Open. 2016; 6(7):e011453.

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Logie C, Gadalla TM. AIDS Care. 2009; 21(6):742–753.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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