venerdì, Maggio 3, 2024

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Lo stile dietetico è “leader” per correggere il colon irritabile (IBS): l’ultima ricerca dell’Università di Goteborg

La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è una diagnosi comune che causa dolore e gonfiore addominali, diarrea e stitichezza, in varie combinazioni e con vari gradi di gravità. Il trattamento spesso consiste in consigli dietetici come mangiare pasti piccoli e frequenti ed evitare l’assunzione eccessiva di alimenti che provocano la malattia, come caffè, alcol e bevande gassate. Ai pazienti possono anche essere somministrati farmaci per migliorare sintomi specifici, come antidiarroici o antispastici. Gli antidepressivi vengono talvolta utilizzati per migliorare i sintomi dell’IBS, dato che una componente emotiva e/o psicosomatica è evidente nella stragrande maggioranza di coloro che ne sono affetti. Eppure, secondo un ultimo studio condotto presso l’Università di Göteborg, il trattamento dietetico è più efficace dei farmaci nel gestire l’IBS. Con gli aggiustamenti dietetici, più di 7 pazienti su 10 hanno avuto una riduzione significativa dei sintomi.

L’attuale studio, pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology, ha confrontato tre trattamenti: due dietetici e uno basato sull’uso di farmaci. I partecipanti erano pazienti adulti con sintomi di IBS gravi o moderati presso l’ospedale universitario Sahlgrenska di Göteborg. Al primo gruppo sono stati forniti consigli dietetici tradizionali per l’IBS, concentrandosi sul comportamento alimentare combinato con un basso apporto di carboidrati fermentabili, noti come FODMAP. Questi includono ad es. prodotti con lattosio, legumi, cipolle e cereali, che fermentano nel colon e possono causare dolore distensivo (meteorismo). Il secondo gruppo ha ricevuto un trattamento dietetico a basso contenuto di carboidrati e proporzionalmente ricco di proteine e grassi. Nel terzo gruppo è stato somministrato il miglior farmaco possibile in base ai sintomi più fastidiosi dell’IBS del paziente.

Ciascun gruppo comprendeva circa 100 partecipanti e i periodi di trattamento duravano quattro settimane. Quando i ricercatori hanno poi esaminato la risposta dei partecipanti ai trattamenti, utilizzando una scala di punteggio dei sintomi dell’IBS consolidata, i risultati sono stati chiari. Tra coloro che hanno ricevuto consigli dietetici tradizionali per l’IBS e un basso contenuto di FODMAP, il 76% ha avuto una riduzione significativa dei sintomi. Nel gruppo che riceveva un alto contenuto di proteine e grassi e basso di carboidrati, la percentuale era del 71% e nel gruppo dei farmaci del 58%. Tutti i gruppi hanno riportato una qualità di vita significativamente migliore, meno sintomi fisici e meno sintomi di ansia e depressione. Ad un follow-up di sei mesi, quando i partecipanti ai gruppi dietetici erano parzialmente tornati alle loro precedenti abitudini alimentari, un’ampia percentuale aveva ancora un sollievo dai sintomi clinicamente significativo.

Il 68% era nel gruppo con consulenza dietetica tradizionale e gruppo con dieta a basso contenuto di FODMAP ed il 60% nel gruppo con dieta a basso contenuto di carboidrati. Quindi effettivamente, la componente psicosomatica che si scarica sull’intestino risente della tipologia di macronutriente della dieta. Sarebbe interessante capire come dialoga la tipologia di dieta con la neurochimica intestinale e l’intervento del microbiota. Ci sono già da un po’ di tempo prove che indicano come chi soffre di IBS ha un certo grado di disbiosi intestinale, e che spesso l’integrazione con probiotici può aiutare a gestire sintomi come stipsi e meteorismo. Ma questo non dà prova di una possibile correzione sulla neurochimica del sistema nervoso enterico. Molte specie batteriche nell’intestino possono produrre neurotrasmettitori come triptamina, serotonina, GABA, acetilcolina. Il loro intervento nella fisiologia e nell’immunità locali è già dimostrato.

Quindi l’intervento del microbiota nella patogenesi dell’IBS è piuttosto complesso poiché bisogna prima trovare il modo di evitare la sua influenza per vedere come la dieta in sé può condizionare la neurochimica locale. Dall’altro lato, è possibile che è la stessa disbiosi intestinale alla base del problema: l’arricchimento di alcune specie e l’impoverimento di altre sposta sicuramente la sintesi di mediatori prodotti dai batteri stessi. Non è da escludere che sia la prevalenza di certi neurotrasmettitori più che di altri a provocare la comparsa ed il perpetrarsi dei sintomi. Questo spiega perché i probiotici possono avere un parziale effetto correttivo sui sintomi; lo stesso vale con l’uso di antispastici intestinali; e l’aggiunta di uno stile alimentare personalizzato può mettere le basi perché tutti gli interventi facciano la loro parte per avere il massimo effetto curativo.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

Nybacka S et al. Lancet Gastroenterol Hepatol 2024 Apr; in press.

Algera JP, Demire D et al. Clin Nutr. 2022 Dec; 41(12):2792-2800.

Nybacka S et al. JMIR Res Protoc. 2022 Jan 17; 11(1):e31413.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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