sabato, Dicembre 7, 2024

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Valutazione dello stigma sociale dell’acne: breve analisi e considerazioni sui risvolti psicologici di questo “malessere”

L’acne è stata una fonte di disagio per generazioni, soprattutto perché spesso si sviluppa sui volti delle persone colpite e altrettanto spesso può essere percepita come il risultato di una scarsa igiene. Di conseguenza, molte persone con acne lottano con una scarsa autostima, che può avere effetti dannosi sulla loro salute mentale. Lo stigma ha importanti implicazioni per il benessere psicosociale; sondaggi condotti su individui con acne riferiscono che lo stigma percepito spiega la varianza più ampia (25-36%), oltre altri predittori (ad esempio, gravità percepita e genere), in tutti gli ambiti della qualità della vita: percezione di sé, sociale ed emotivo. Il carico psicologico dell’acne è ben documentato: tra i vari ambiti di impatto, quello più ampiamente riportato è stato quello dell’acne sulla percezione di sé. Pertanto, l’acne porta a disagio legato all’aspetto, sensazione di bruttezza e disturbi dell’immagine corporea.

Al fine di ridurre il carico psicologico associato all’acne, è essenziale comprendere i meccanismi psicologici coinvolti nella stigmatizzazione. Comprendere questi meccanismi utilizzando la teoria psicologica ha il potenziale per fornire una “prova di concetto” teorica per obiettivi idonei per la psicoterapia. Sebbene le variabili dermatologiche (gravità e durata) e demografiche (stato lavorativo o relazionale, ecc.) abbiano un potere predittivo limitato, è probabile che fattori socio-culturali più ampi giochino un ruolo più significativo. Si teorizza che fattori socio-culturali, compresi i social media, influenzino le norme sociali e gli ideali di aspetto, contribuendo alla stigmatizzazione degli individui che non sono in grado di soddisfare questi ideali. Se prima dell’avvento dei social media, il problema è stato costante, con l’avvento degli stereotipi, degli influencers, di una smania di apparire che rasenta il ridicolo quanto il patologico, il problema non ha fatto altro che essere incentivato.

L’uso dei socials è ormai costante da molti anni, specie fra i giovani. Numerosi studi hanno stabilito una relazione tra l’uso di Facebook e i risultati psicosociali, con il ruolo delle variabili di differenza individuale nell’uso e nel comportamento dei social media che si mostrano più promettenti nello spiegare l’impatto di tali media, al di là del semplice utilizzo. Ad esempio, è stato segnalato che un maggiore utilizzo delle funzioni fotografiche, oltre all’utilizzo totale di Facebook, predice una maggiore insoddisfazione per il peso, interiorizzazione dell’ideale sottile, confronto dell’aspetto e auto-oggettivazione. Risultati simili sono emersi anche per l’uso di Instagram, con studenti universitari esposti sperimentalmente a immagini Instagram idealizzate di celebrità e colleghi, in contrapposizione alle foto di viaggio su Instagram, che segnalano una maggiore insoddisfazione corporea e umore negativo, mediati dal confronto dell’aspetto.

​Un nuovo studio recentemente pubblicato su JAMA Dermatology discute i diversi stereotipi associati all’acne e il grado in cui la società nutre punti di vista negativi nei confronti delle persone con questa condizione della pelle. Gli scienziati hanno condotto un sondaggio su Internet che includeva quattro ritratti di adulti ritoccati digitalmente, per un totale finale di 12 ritratti. Questi ritratti rappresentavano sia maschi che femmine con carnagione chiara e scura con acne lieve o grave, oltre ai ritratti originali privi di acne. I ritratti migliorati sono stati poi mostrati in modo casuale a un campione di convenienza della società adulta rappresentato dagli intervistati reclutati dalla piattaforma online ResearchMatch. A ciascun partecipante è stato presentato un solo ritratto, al quale è stato poi chiesto di rispondere a domande relative al suo atteggiamento nei confronti della persona nella foto. Oltre il 25% degli intervistati ritiene che l’acne sia un problema puramente estetico.

Questa opinione è in netto contrasto con quella dei dirigenti sanitari, che a volte rifiutano di coprire il trattamento dell’acne sulla base del fatto che non si tratta di un problema medico. Questa è un’osservazione cruciale che la comunità medica più ampia dovrebbe considerare, poiché i risultati di questo studio dimostrano che l’acne è socialmente stigmatizzata, influenzando così un’ampia gamma di interazioni sociali e persino opportunità economiche. La maggior parte degli intervistati ha affermato che l’acne non è solo un problema adolescenziale. Tuttavia, oltre il 75% degli intervistati ritiene che l’acne si risolva da sola. Lo studio attuale rivela che l’acne rimane una fonte di avversione sociale diretta verso la vittima, in particolare tra quelle con tonalità della pelle più scure. Ciò è stato riportato in diversi studi precedentemente pubblicati per una varietà di condizioni della pelle.

La maggior parte dei partecipanti ha riferito di voler mantenere una maggiore distanza sociale dalle persone con acne. Inoltre, questi individui avevano meno probabilità di sentirsi a proprio agio nell’essere amici di qualcuno che aveva l’acne grave rispetto a una persona senza. Ciò si estendeva al non assumere, non avere contatti fisici, frequentare e includere persone con acne grave nelle foto pubblicate online. Le persone con acne grave correvano un rischio maggiore di essere giudicate sporche, stupide, sgradevoli, immature e inaffidabili e avrebbero trovato più difficile piacere agli altri. Questo desiderio di prendere le distanze socialmente e la tendenza a stereotipare l’individuo a tendenza acneica erano più forti se l’individuo affetto aveva una carnagione più scura; tuttavia, il sesso dell’individuo non ha prodotto alcun effetto evidente. I partecipanti che attualmente o avevano avuto l’acne avevano atteggiamenti meno sfavorevoli nei confronti dei soggetti affetti da acne.

È interessante notare che il pregiudizio contro chi soffre di acne si estende a razza, sesso, origine etnica e occupazione ed è stato segnalato anche in ambito sanitario. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un problema analogo a quello che si osservava nei tempi antichi o nel medioevo, quando qualcuno affetto da lebbra o altra malattia della pelle veniva socialmente emarginato, tenuto a distanza e giudicato. È ben noto che nel passato essere affetto da una condizione deturpante poteva anche essere associato ad una “punizione divina” o atavica, che colpiva l’individuo e la sua famiglia per colpe trasmesse degli antenati. Persino l’epilessia, sin dai tempi antichi nota come “morbus sacer” o malattia sacra, era vista come un qualcosa di soprannaturale che poteva colpire l’individuo per “supposte” colpe o trasgressioni morali o legate alla religione. Tutto questo era obiettivamente frutto di ignoranza data dall’assenza di conoscenze scientifiche come le si hanno oggi.

Oggi la scienza sa che c’è l’intervento di fattori biologici, la presenza di un batterio nello specifico e possibili fattori dietetici (eccesso di grassi alimentari) che possono concorrere alla manifestazione del problema. Per completare, anche la medicina orientale esprime il suo parere al riguardo. Ogni parte del viso, in questa pratica, rappresenta una zona o un organo del corpo. Le guance rappresentano il fegato, che è associato a sentimenti negativi come rabbia, odio e vendetta. È possibile che chi è affetto da acne covi dei sentimenti di questo tipo riguardo a soggetti o situazioni nell’ambiente in cui vive, o con certe persone con cui si relaziona. Succede anche che chi è affetto da acne non sia canonicamente così “bello” o “attraente” come altre persone, e questo non farebbe altro che “gettare benzina sul fuoco”, alimentando la rabbia e la frustrazione interna di chi è affetto. Con ripercussioni anche gravi sulla salute mentale degli interessati, perché queste persone non sono generalmente “esplosive” e vivono il problema ammalandosi nell’animo.

E’ paradossale come l’uomo ormai da “homo sapiens” passato ad “homo tecnologicus”, si porti dietro ancora retaggi culturali e pregiudizi che non fanno altro che causare sofferenza al proprio simile, spesso con l’aggiunta di beffa consapevole. E con l’aiuto dei socials che ispirano ad ambire ad una perfezione di immagine che non esiste e che non è di questo mondo. Ed è ancora più triste osservare il paradosso di una società che sta diventando sempre più tecnologica, ma che resta ignorante sul lato culturale ed umano, convinta di poter arrivare alla perfezione estetica. Per fortuna che vige ancora il detto “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Shields A et al. JAMA Dermatol. 2023 Dec 6:e234487.

Adkins K, Overton P et al. JMIR Dermatol. 2023; 6:e45368.

Smith H et al.Am J Clin Dermatol. 2021; 22(2):159–171.

Tan J et al. J Cutan Med Surg. 2020; 24(3):259–266.

Davern J, O’Donnell AT. PLoS One. 2018; 13(9):e0205009.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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