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Acido lattico legato sul DNA? Vero: ma non è questione di stanchezza, piuttosto di intenzioni ed umori

L’acido lattico è un metabolita ben noto, che si trova in quasi tutti i tipi di cellule ed è molto abbondante nelle cellule tumorali in proliferazione a causa dell’effetto Warburg. Nonostante molti studi dimostrino che il lattato secreto dal tumore può entrare in più tipi di cellule immunitarie per formare un microambiente favorevole alla crescita del tumore, il modo in cui il lattato intracellulare si manifesta o si traduce in segnali benefici per la crescita del tumore rimane ancora incompleto. Recentemente, la lattilazione dei residui di lisina è stata identificata come un nuovo tipo di modificazioni post-traduzionali per gli istoni, fornendo una nuova prospettiva per le funzioni non metaboliche del lattato. È stato scoperto che la lattilazione degli istoni svolge un ruolo essenziale nella pluripotenza delle cellule staminali, nell’eccitazione neurale, nella polarizzazione dei macrofagi e nello sviluppo del tumore.

È stata trovata anche in proteine non istoniche e sebbene sta suscitando interesse fra i biochimici, non si sa con certezza quale enzima si occupi del processo. La istone acetiltrasferasi p300 può operare questa reazione ma rispetto alle concentrazioni dei acetil-CoA, quelle di acido lattico dentro la cellula sono 1000 volte inferiori, facendo sorgere dubbi sulla sua efficienza e sulla possibilità che ciò sia fattibile. Ecco perché, mettendosi alla ricerca di altri potenziali enzimi candidati, gli scienziati della Scuola di Medicina dell’Università di Shanghai hanno visto che l’operazione viene svolta da una proteina che è un enzima coinvolto in un processo cellulare completamente diverso: la sintesi proteica. Ogni aminoacido, prima di diventare una catena proteica, deve essere attivato sul suo RNA di trasporto (tRNA), ed essere poi trasferito alla catena crescente. Tutti i venti aminoacidi hanno un loro tRNA e la corrispettiva sintetasi che li unisce.

Ebbene, la tRNA sintetasi per l’aminoacido alanina (AARS1) sembra essere la lattil-trasferasi che gli scienziati stavano cercando. Inoltre, hanno scoperto che in risposta all’accumulo intracellulare di lattato, AARS1 si è traslocata nel nucleo dove ha catalizzato direttamente la lattilazione di YAP sulla lisina 90 e TEAD1 sulla lisina 108, attivando così l’espressione del gene bersaglio a valle per promuovere la proliferazione delle cellule tumorali. YAP e TEAD1 sono due effettori della via cellulare Hippo, che serve alla polarità e differenziazione cellulare, e la cui disregolazione può avere effetti oncogeni. Inoltre, è stato dimostrato che AARS1 è un gene bersaglio diretto di YAP-TEAD1, formando un circuito di feedback positivo per manifestare alti livelli di lattato intracellulare come segnale di crescita. Coerentemente, i ricercatori hanno scoperto che AARS1 è sovraregolato e associato alla lattilazione di YAP-TEAD1 nel cancro gastrico.

Inoltre, l’analisi strutturale 3D del modello enzimatico ha indicato che la mutazione dei residui di amminoacidi (R77A, M100A, W176E, V218D, D239A) che rivestono la tasca catalitica di AARS1 interromperebbe la sua interazione con il lattato. Questo prova che l’acido lattico ha effettivamente una sua tasca molecolare dove accomodarsi. I tests biochimici hanno mostrato che AARS1 catalizzava efficacemente la lattilazione dell’istone H3 in presenza di concentrazioni fisiologiche di ATP e lattato, ma non riusciva a farlo in presenza di concentrazioni anche 100 volte più elevate di lattil-CoA fisiologico. Questa funzione proteica da “Giano bifronte” è nota da più di un ventennio come moon-lightning (luce di luna), per indicare una proteina che in un preciso contesto ha una funzione biologica, mentre spostandosi in un altro compartimento cellulare o in presenza di altri substrati ne assume uno differente.

Nel caso della lattilazione degli istoni, le implicazioni biologiche e cliniche sono notevoli: l’acido lattico è stato recentissimamente dimostrato essere il responsabile effettore della cachessia tumorale, ovvero della morte del paziente oncologico dovuta al dimagrimento estremo. Nel caso specifico, gli effetti sono stati dimostrati dipendere da un recettore di membrana. In parallelo, anche il sistema immunitario è bersaglio del tumore attraverso la produzione di acido lattico: le cellule tumorali secernono questo “scarto” per “immobilizzare ed assopire” le cellule immunitarie ed impedire che le attacchino. In questo caso, il meccanismo dipende dal trasporto del lattato dentro il linfocita attraverso il canale trasportatore SLC5A12; sarebbe l’aumento interno del metabolita a “riprogrammare” il metabolismo e indurre la cellule immunitaria ad “addormentarsi”. Non è da escludere che questo meccanismo si verifichi attraverso una “lattilazione” delle proteine cellulari e nucleari del linfocita, che viene geneticamente riprogrammato per rendersi inerte.

Infine, l’acido lattico a livello cerebrale sembra comportarsi da molecola che toglie la depressione. Secondo vedute molto recenti, questo effetto è specifico del lattato, poichè la sua versione ridotta (acido piruvico) non esercita questo fenomeno. Secondo altri dati, l’effetto antidepressivo di questa molecola sembra coinvolgere la neurogenesi a livello dell’ippocampo. In qualunque caso, l’effetto compare se l’acido lattico entra nelle cellule, poichè i dati funzionali indicano che la conversione del lattato in piruvato con la concomitante produzione di NADH2 è necessaria per gli effetti neurogeni e antidepressivi del lattato. Dato che i rapporto NAD+/NADH2 può condizionare la funzione non solo di enzimi legati al metabolismo energetico, ma anche relativi all’espressone genica (PARP1, CtBP-1, SIRT, ecc.), assieme alla lattilazione istonica o di altre proteine, l’acido lattico potrebbe regolare la neurochimica cerebrale a favore della stabilità dell’umore.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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