giovedì, Aprile 25, 2024

Il ruolo del microbiota intestinale nella patogenesi della sclerosi multipla: dal laboratorio ai pazienti

Il ruolo dello sbilanciamento della flora batterica intestinale (microbiota) nella comparsa e/o progressione della sclerosi multipla è un concetto abbastanza recente. I primi dati su questo concetto emersero nel 2011, quando fu riscontrato che topi col modello sperimentale classico di SM (encefalomielite allergica sperimentale; EAE) avevano alterazioni significative della composizione microbica intestinale. Fino ad allora non si riusciva a capire quale fosse il nesso fra i due fenomeni. Ma ora appare chiaro che fattori esterni, siano essi dietetici, emotivi, infettivi e quant’altro causano una disbiosi intestinale che altera le risposte immunitarie locali di tolleranza. La malattia, poi, si farebbe strada molto probabilmente su quei soggetti che siano stati esposti a qualche altro fattore ambientale predisponente (virale, trauma, ecc.), magari con una combinazione di aplotipi HLA ideali all’evoluzione immunologica della malattia.

Ci sono moltissimi aspetti da chiarire sulla relazione SM-microbiota, ma le prove si fanno sempre più convincenti, pubblicazione dopo pubblicazione. I batteri anaerobi facoltativi come l’Escherichia coli e altri batteri coliformi sono i primi colonizzatori dell’intestino nei neonati. Nel primo anno di vita, l’intestino è colonizzato da Bacteroides, Clostridium, Ruminococcus e Bifidobacteria. L’allattamento al seno favorisce la proliferazione dei Lactobacillus e dei Bifidobacterium. Infatti la composizione dei saccaridi del latte materno è diversa da quella del latte bovino e può risultare più probiotica.  La crescita di queste specie Gram-positivi (Lactobacillus, Bifidobacterium, Leuconostoc, ecc.) è opportuna per la stabilizzazione del microbiota intestinale, la cui tendenza oggi è di spostarsi ad una composizione maggiormente di tipo Gram-negativo a causa della prevalenza di alimenti processati e/o ultra-elaborati, con una parallela povertà di fibre insolubili o solubili.

Quanto la presenza di specifiche componenti Gram-positive risulti protettiva nei confronti della comparsa di SM non è stato ancora perfettamente determinato. E resta ancora da stabilire un legame funzionale tra microbiota e la SM ed esplorare i meccanismi molecolari che ne stanno alla base. In termini di modelli sperimentali di SM, la gravità della encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE) è stata ridotta con la somministrazione orale di antibiotici. In particolare, la vancomicina ha ridotto l’abbondanza di phyla Firmicutes e Bacteroidetes e ha aumentato l’abbondanza di Proteobacteria. Sebbene un aumento dell’abbondanza relativa di Proteobacteria sia stato correlato a ruoli sia pro- che antinfiammatori nella SM, le ultime osservazioni e i dati pubblicati nel modello EAE suggeriscono un ruolo benefico di questa popolazione commensale.

Inoltre, in un modello di EAE recidivante-remittente spontaneo, topi SJL/J transgenici privi di germi sono stati protetti contro la malattia, mentre la colonizzazione intestinale da parte del microbiota commensale ha ripristinato la suscettibilità alla malattia. Allo stesso modo, la mono-colonizzazione dell’intestino di topi C57BL/6 con batteri filamentosi segmentati ha promosso l’accumulo di Th17 nel midollo spinale e ha ripristinato lo sviluppo della EAE. Al contrario, la colonizzazione degli stessi topi con Bacteroides fragilis col suo polisaccaride A ha attenuato la sintomatologia nel modello EAE. La somministrazione orale di Lactobacillus spp. e Bifidobacterium bifidus ha ridotto il punteggio clinico, aumentando il numero di linfociti Treg nei topi EAE. La possibilità che componenti del microbiota possano favorire l’autoimmunità del SNC è stata recentemente suggerita, quando i trapianti di microbiota da gemelli con SM hanno aumentato l’incidenza di EAE spontanea.

Il trapianto fecale è una prospettiva terapeutica che è nata alcuna anni fa a seguito della scoperta di profonde alterazioni in seno al microbiota in malattie autoimmuni e non-. Negli animali da esperimento (ratti, tipo, hamsters), il trapianto fecale ha dato risultati apparentemente positivi in caso di patologie come l’artrite reumatoide, ma anche di tipo non reumatologico come il morbo di Crohn, la fibromialgia e il modello EAE per la sclerosi multipla. Ma oltre agli animali da esperimento, ci sono prove pubblicate a carico si soggetti umani o di studi di «dialogo» fra microbiota umano ed animale. Studi complementari mostrano che i trapianti di microbiota intestinale da pazienti con SM a topi GF hanno esacerbato lo sviluppo di EAE in seguito all’immunizzazione della glicoproteina oligodendrocitaria (MOG) della mielina.

Le prime ricerche di pazienti con sclerosi multipla (SM recidivante-remittente, RRMS) hanno riscontrato riduzioni in Proteobacteria, Firmicutes e Bacteroidetes. Uno studio del 2016 ha esaminato 60 pazienti con RRMS, 28 non trattati e 43 controlli, che mostravano maggiore presenza di Akkermansia e Methanobrevibacter, e ridotte quantità di Butyricimonas in pazienti non trattati (Jangi et al. 2016). In uno studio di coorte cinese, è stato scoperto che gli acidi grassi a catena corta (SCFA) fecali prodotti da batteri “buoni”, sono ridotti nella SM rispetto agli soggetti sani. La maggior parte dei dati sul microbiota disbiotico intestinale per i pazienti con SM è caratterizzata da una minore abbondanza di Butyricimonas, un genere produttore di butirrato, nei pazienti con SM. Questi cambiamenti possono aumentare le cellule T autoreattive pro-infiammatorie, cioè le cellule Th17 e Th1 nel sangue periferico.

L’aumento dell’mRNA di IL-17 è stato notato per la prima volta nel sangue e nel liquido cerebrospinale dei pazienti con SM. Successivamente, nel cervello dei pazienti con SM è stato riscontrato un aumento delle cellule Th17 e della proteina IL-17. Ciò porta ad una maggiore permeabilità BBB, che a sua volta porta ad una maggiore infiammazione del sistema nervoso centrale. Il butirrato, prodotto da Faecalibacterium, Lachnospiraceae e Anaerostipes, inibisce la soppressione della demielinizzazione cerebrale attraverso l’attivazione del recettore accoppiato a proteine G e l’istone deacetilasi, la principale caratteristica patologica della SM. Il butirrato può anche migliorare la funzione di barriera e le attività antinfiammatorie. I dati longitudinali per 97 pazienti con SM sottoposti a supplementazione di propionato per almeno 1 anno hanno mostrato un ridotto tasso di recidiva annuale, stabilizzazione della disabilità e ridotta atrofia cerebrale.

Pertanto, l’integrazione con acidi grassi a catena corta è efficace nel ridurre la gravità clinica e l’infiammazione della SM. Sono disponibili in commercio delle preparazioni a base di acido buturrico che, tradizionalmente, sono state dedicate più al trattamento di complemento di malattie infiammatorie intestinali, come il morbo di Crohn. Tuttavia, con la maggiore consapevolezza dei clinici sul ruolo del microbiota nella comparsa e nella progressione della SM; è possibile che entro pochi anni l’integrazione con SCFAs possa diventare una realtà clinica.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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