Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università dell’Indiana potrebbe aiutare l’industria farmaceutica a comprendere meglio un popolare antidolorifico e antifebbrile: la Tachipirina. Ad alte dosi, il paracetamolo può essere tossico per il fegato: la sua tossicità causa migliaia di decessi all’anno ed è la seconda causa di trapianto di fegato in tutto il mondo. Grazie alla sua ampia disponibilità e alla sua associazione con altri prodotti, oltre 60 milioni di americani consumano paracetamolo settimanalmente, il che rende fondamentale comprendere come agisca sui recettori del dolore. C’era scetticismo nella comunità scientifica riguardo a un nuovo meccanismo d’azione del paracetamolo. Quando 50 anni di ricerca hanno dimostrato che l’attivazione dei recettori CB1 produceva sollievo dal dolore nell’organismo, gli scienziati si sono concentrati su questo concetto.
Michaela Dvorakova, ricercatrice post-dottorato presso il Gill Institute for Neuroscience dell’Indiana University e il Dipartimento di Scienze Psicologiche e del Cervello del College of Arts and Sciences, e Alex Straiker, ricercatore del Gill Institute, hanno pubblicato lo studio su Cell Reports Medicine. La loro scoperta, che descrive in dettaglio un modo precedentemente sconosciuto in cui il farmaco agisce sul dolore, potrebbe cambiare il modo in cui i farmacologi concepiscono il trattamento del dolore e contribuire alla progettazione di antidolorifici più sicuri ed efficaci. I ricercatori hanno scoperto che il paracetamolo inibisce un enzima che produce uno dei cannabinoidi endogeni, il 2-arachidonoil-glicerolo (2-AG). Gli endocannabinoidi prodotti dall’organismo attivano i recettori CB1, gli stessi implicati negli effetti psicoattivi della cannabis.
L’analgesia indotta dal paracetamolo richiede i recettori CB1. Inoltre, il metabolita secondario del paracetamolo N-arachidonoil-amminofenolo (AM404) ha molteplici effetti sulla segnalazione dei cannabinoidi, tra cui il blocco dell’assorbimento dell’anandamide; l’inibizione dell’idrolasi dell’ammide degli acidi grassi (FAAH), un enzima che metabolizza l’anandamide e CB9; e l’attivazione indiretta dei recettori TRPV110 e/o dei cannabinoidi. Tuttavia, le concentrazioni di AM404 raggiunte nel corpo dopo il trattamento con paracetamolo sembrano essere ben al di sotto di quelle necessarie per spiegare questi effetti. I tests del gruppo di ricerca, invece, hanno confermato che il paracetamolo inibisce l’attività dell’enzima diacil-glicerolo lipasi alfa (DAGL-a); alle concentrazioni plasmatiche di 30 micromoli, l’enzima viene inibito al 45%.
Questa riduzione di sintesi del 2-AG comporta meno stimolazione del recettore CB1, il che per gli scienziati è un paradosso dato che l’attivazione di tale recettore comporta effetti analgesici. È possibile che questo meccanismo sia stato trascurato proprio perché molti studi hanno dimostrato che l’attivazione dei recettori CB1 o CB2 riduce il dolore o l’infiammazione. Tuttavia, esistono prove che il contrario possa essere vero: che l’attivazione dei recettori CB1 possa avere un effetto pro-algesico o che l’antagonismo dei recettori CB1 possa avere un effetto analgesico, ma le prove a favore di un ruolo antinocicettivo dell’attivazione dei recettori CB1 sono ampie e convincenti. In futuro, il team di ricerca sta valutando altri comuni antidolorifici, come l’ibuprofene e l’aspirina, per determinare se abbiano meccanismi d’azione simili.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Dvorakova M et al. Cell Reports Med. 2025:102139.
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