Si è stimato che nel 2020 quasi sei milioni di persone vivevano con il morbo di Alzheimer solo negli Stati Uniti; e si prevede che questo numero aumenterà nei prossimi decenni. I tentativi di sviluppare farmaci per il trattamento della condizione neurodegenerativa hanno avuto un successo limitato e attualmente sono approvati solo cinque farmaci. I ricercatori hanno anche esplorato il potenziale dei farmaci esistenti per migliorare le condizioni delle persone che soffrono di questa forma di demenza. La niacina, una forma di vitamina B3 nota anche come acido nicotinico, ha recentemente attirato l’attenzione di alcuni ricercatori del settore. La niacina è un nutriente essenziale ottenuto da alimenti, come pesce, manzo, pollo e cereali integrali, e da fonti di integratori. La vitamina, nella sua forma farmacologica, è prescritta per aumentare il colesterolo HDL, sebbene la sua assunzione non sia associata a un ridotto rischio di morte, infarto o ictus. Una carenza di niacina può causare la pellagra, una condizione che provoca anche declino cognitivo.
Dagli anni ’80, i ricercatori hanno esplorato se la niacina alimentare potesse aiutare a scongiurare alcune malattie neurodegenerative. La vitamina ha suscitato interesse negli ultimi 20 anni con alcuni studi epidemiologici che hanno riportato un’associazione tra l’assunzione di niacina e una riduzione del rischio di declino cognitivo generale. Più recentemente, i ricercatori hanno iniziato a esplorare se il composto abbia un effetto positivo sugli individui con malattie neurodegenerative. I dati pubblicati negli ultimi anni hanno suggerito che la niacina può modulare l’attività della microglia, importanti cellule immunitarie nel cervello, nei modelli murini di Parkinson e sclerosi multipla. La prova iniziale di questo effetto protettivo è stata ora mostrata in un modello murino per il morbo di Alzheimer. Uno studio condotto tra il 1993 e il 2002 su una coorte di anziani ha scoperto che l’assunzione da entrambe le fonti insieme era inversamente associata allo sviluppo dell’Alzheimer e anche l’assunzione da fonti di cibo era negativamente associata al declino cognitivo.
Uno studio pubblicato nel 2017 ha confermato una relazione benefica tra l’assunzione dietetica di niacina in giovane età adulta e una migliore funzione cognitiva più avanti nella vita.A parte il legame epidemiologico tra niacina, funzione cognitiva e Alzheimer, c’era un’altra prova che riguarda come la cosiddetta dieta chetogenica sia stata associata al trattamento o alla prevenzione dell’Alzheimer e di altre malattie neurodegenerative. Una delle cose che fa questa dieta, aggiunge, è aumentare la sintesi dei corpi chetonici che si legano al recettore HCAR2 / GPR109A, per il quale la niacina ha un’elevata affinità. Sulla base di queste due linee di prova, gli scienziati si sono chiesti dove fosse espresso questo recettore della niacina nel cervello. In primo luogo hanno scoperto che HCAR2 era espresso in modo significativamente più alto nell’ippocampo e nella corteccia dei topi colpiti rispetto ai topi di un ceppo di controllo. Esaminando il tessuto cerebrale post-mortem umani, gli autori hanno anche scoperto che l’espressione del recettore è molto più alta nei campioni di pazienti con Alzheimer.
E indovina un po’: l’espressione del recettore era specificamente associata alla microglia. Quando queste cellule immunitarie sono state esaurite, i livelli di mRNA di HCAR2 sono diminuiti in modo significativo, mentre l’espressione è stata ripristinata quando la microglia è stata ripopolata. Inoltre, la sua espressione è aumentata nella microglia che circonda le placche di amiloide-βrispetto a quelle non coinvolte con esse. La sua attività sembrava svolgere un ruolo benefico nel modo in cui la microglia interagisce con le placche amiloidi. I topi privi del recettore hanno mostrato un carico di placca maggiore nel tessuto cerebrale e una maggiore perdita neuronale. La microglia è il sistema immunitario del cervello. Stanno monitorando costantemente il loro ambiente, pronti a proteggere i neuroni da infezioni microbiche o parassitarie. Tuttavia, non sembrano avere un programma specifico per colpire le placche amiloidi nel contesto dell’Alzheimer. La microglia, quindi, probabilmente ha “una risposta molto mista ai segnali” provenienti dall’aggregazione amiloide e da altre caratteristiche della malattia.
La ricerca mostra che l’attività fagocitica della microglia verso gli aggregati di β-amiloide può essere protettiva, ma se queste cellule sono iperattive, secernono fattori infiammatori che peggiorano la patogenesi del morbo di Alzheimer. Pertanto, i ricercatori hanno testato se una dose giornaliera della formulazione orale di niacina approvata dalla FDA, Niaspan, per 30 giorni potrebbe alterare lo sviluppo della malattia nel loro modello murino. Il team riferisce che i topi sottoposti a questo trattamento hanno mostrato una migliore memoria di lavoro, una ridotta formazione di placche e una diminuzione della perdita neuronale, rispetto a quelli non trattati con Niaspan. Come previsto, Niaspan non ha ottenuto questo miglioramento nei topi privi del recettore HCAR2. Nel cervello, HCAR2 si trova quasi esclusivamente nella microglia degli animali con Alzheimer, rendendolo “quasi come un bersaglio naturale” poiché solo quelle cellule saranno sensibili alla terapia. Questa è la prima volta che in esperimenti di laboratorio viene dimostrato un legame tra la niacina e l’Alzheimer.
E studi recenti di altri team hanno riportato effetti simili della niacina in altri disturbi neurologici. Nel 2020, gli scienziati hanno scoperto che la niacina potrebbe migliorare l’attività fagocitica della microglia nei confronti dei detriti di mielina nelle cellule in coltura e in un modello murino di sclerosi multipla. Anche la ricerca sul morbo di Parkinson ha rivelato un potenziale ruolo della niacina. Il trattamento con questa vitamina ha dimostrato di ridurre la neuro-infiammazione in questi pazienti e le analisi dei loro campioni di sangue suggeriscono che HCAR2 è anche un mediatore in questo meccanismo. I ricercatori dell’Università di Augusta in Georgia hanno riferito che la niacina può persino stimolare i macrofagi, cellule immunitarie che spesso lavorano di concerto con la microglia, a passare da una forma pro-infiammatoria a una antinfiammatoria. Gli scienziati stanno attualmente conducendo sperimentazioni cliniche per testare il trattamento con niacina su questa condizione. La niacina non è stata ancora testata sull’uomo nel contesto del morbo di Alzheimer.
Forse il problema è che servono dosi molto massicce per poter ottenere un effetto terapeutico durevole nel tempo. E poi c’è un altro problema: la niacina non passa molto velocemente la barriera emato-encefalica, è una vitamina abbastanza solubile in acqua mentre questa struttura preferisce far passare molecole grasse o che si sciolgono nei grassi. Il problema potrebbe essere sorpassato costruendo un pro-farmaco della vitamina che comprende una molecola grassa o complessata ad acidi grassi semplici. In tal modo, non servirebbe solo per la demenza di Alzheimer, ma anche per le altre condizioni cliniche accennate. Altri Autori, però, hanno ribadito che nelle situazioni mediche descritte esiste già una maggiore permeabilità della barriera EE causata dalla naturale componente infiammatoria delle malattie. Ma anche in questo caso, la forma libera della vitamina avrebbe probabilmente effetto limitato nel tempo: una volta avuto effetto antinfiammatorio sulla barriera stessa, la sua impermeabilità rinnovata interferirebbe con l’entrata libera della niacina nel cervello.
È incoraggiante sapere, in definitiva, che la niacina è l’ennesima molecola naturale che ha mostrato effetto in modelli di malattie neurologiche ad alto impatto sanitario. In fondo, nella maggior parte delle patologie neuro-degenerative conosciute è risaputo esserci difetti del metabolismo energetico (incluso di proteine che lavorano con coenzimi vitaminici). Adottare una medicina correttiva a base di molecole naturali, specie quando funzionano, può essere un ulteriore passo avanti per gestire l’avanzata apparentemente senza freni di malattie neurologiche altamente invalidanti come quelle citate.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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