venerdì, Aprile 19, 2024

“Le sostanze chimiche fanno male” o chemofobia: un’analisi veloce di un tema attuale ma celato

La chemofobia è la paura irrazionale verso composti o ingredienti percepiti come sintetici o innaturali. La maggior parte delle persone usa la parola “chimica” per riferirsi a sostanze sintetiche o artificiai; tale avversione appresa che si associa a preconcetti errati che non hanno alcun fondamento né scientifico né tanto meno tossicologico. Possiamo definirla come una fobia che sta partorendo un terrorismo alimentare e farmaceutico che si estende agli alimenti a base di zucchero o conservanti, tutti articoli che devono rispettare protocolli di sicurezza e qualità prima di essere venduti. La chemofobia si sta diffondendo con il contributo di scienziati e professionisti di parte, attivisti, enti e blogger che stanno riuscendo a issare questa bandiera. I responsabili della diffusione della chemofobia creano stress, ansia ed inutili sensi di colpa, mentre i consumatori si preoccupano delle scelte ideali per sè stessi e le loro famiglie. E poi, ormai, le norme di sicurezza sull’alimentazione sono diventate più severe e i prodotti sono milgiori per qualità e sicurezza.

Chi è, invece, imprenditore nell’agro-alimentare si può ritrovare a cambiare “i connotati” alla maggior parte dei suoi prodotti, perché arriva la richiesta che certi alimenti o bevande che egli vende hanno conservanti alimentari chimici in etichetta di composizione “che sono tossici per la salute umana”. Si scopre però che i consumatori (ed i fautori ci sono anche fra di essi) sono vittime di questa battaglia che ha a che fare soprattutto con il mercato. Le aziende a favore dei prodotti naturali e/o biologici possono diffondere paura sui prodotti convenzionali. La chemofobia non è, ovviamente, una fobia clinica ma una scelta informata e consapevole, influenzata dalle informazioni a cui le persone hanno accesso e da una visione del mondo su cui si basano. Nel valutare la sicurezza di un prodotto o di un alimento, non ci si può attenere al fatto che sia naturale o meno. L’origine stessa di un composto chimico ci interessa, ma non dice nulla sul profilo tossicologico, sugli effetti per la salute e sulla biodisponibilità.

 

In breve, non è questo che determina se esso sarà sicuro ed efficace o se agirà e rimarrà nel corpo. La lavorazione ha avuto un ruolo più importante nella percezione della naturalità di un prodotto rispetto agli ingredienti del prodotto stesso. I prodotti con una storia di lavorazione in cui le persone possono identificarsi (prodotti fatti a mano con additivi familiari e conservati in un modo che il consumatore conosce bene) sono considerati dalla maggior parte delle persone più “naturali”. Purtroppo l’esigenza del conservante alimentare deriva dalla deperibilità stessa della derrata alimentare: la maggior parte dei conservanti hanno azione contro batteri e muffe che sono i primi contaminanti naturali più probabili. La legge impone che si aggiungano conservanti alimentari per protezione del prodotto finito da vendere al consumatore. E’ naturale che la lavorazione industriale e la manipolazione possano avere delle falle “umane” che possono mettere a rischio la sicurezza del prodotto finito.

Mozzarelle blu, uova con la Salmonella, wurstel con qualche altro batterio, prodotti in scatola col botulino e potremmo proseguire con altri esempi. Ma quello che i Pronto Soccorso potrebbero raccontare sulle intossicazioni alimentari dopo “tavolate” di roba fatta in casa, riempirebbe un’enciclopedia. Perché l’igiene delle mani comincia a casa in cucina, e la maggior parte di noi sembra dimenticarsene. Pulirsi le mani varie volte al giorno prescinde dal trasmettere il coronavirus (ultima modalità apportata dalla pandemia), se si conoscesse la lista delle entità viventi che ognuno di noi ha fra le dita ed il palmo delle mani. Sono sempre di più i soggetti che professano l’irrazionale certezza che ogni cosa classificata come “chimica” sia intrinsecamente pericolosa. Al contrario, ogni sostanza “naturale” è ritenuta sicura. Allora perché usare le varie preparazioni disinfettanti per le mani, le superfici e via discorrendo? Sono sostanze chimiche sintetiche dopotutto.

Forse è natura dell’individuo, o forse il professore di Scienze o di Chimica al liceo non è stato abbastanza bravo da farlo appassionare, o forse si spende troppo tempo davanti a Facebook ed altre fonti di informazione scientifica “deviata” che tutto hanno tranne qualcosa di scientifico. La filosofia così diventa “conservanti alimentari e farmaci fanno male, quindi meglio starne alla larga”. Si ricorda, in tale senso, che la maggior parte dei farmaci sintetici di oggi ha una sua radice in qualche sostanza di origine vegetale dalla quale i chimici o i farmacologi hanno cercato di apportare miglioramenti. Chi è chemofobo abbia almeno la coerenza di non prendersi l’Oki se poi ha un insopportabile mal di testa o mal di denti. Eviti l’iniezione di Bentelan se una sciatica lo immobilizza impedendogli di andarsela a spassare con gli amici il sabato sera. Ci sono tanti sabati in un anno, dopotutto. Se acquistando un alimento “naturale” senza conservanti e aprendolo o assaggiandolo è irrancidito, abbia la coerenza di non restituirlo per avere i soldi indietro e gridare “alla truffa”.

Sarebbe come il passare ad un’altra squadra di calcio perché quell’anno la sua non ha vinto lo scudetto. Ma questa è un’altra storia.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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