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Medicina rigenerativa (I): cosa si può fare per il pancreas nel diabete tipo 1 in modo naturale?

E’ tutto morto dall’inizio oppure no?

Come sanno tutti, il diabete di tipo 1 è di origine autoimmunitaria e fra cause genetiche, fattori ambientali e stile di vita, il sistema immunitario di questi individui distrugge le cellule beta del pancreas produttrici di insulina. Si è sempre pensato che una volta raggiunta la fase clinicamente conclamata, il paziente non fosse più in grado di recuperare la sintesi endogena di insulina, portandolo perciò a dipendere dalla terapia esterna. Qualche studio diversi anni fa, condotto da un team italiano (Pastore et al. 2003) aveva già ipotizzato che ci fosse la possibilità per questi individui di poter ancora produrre insulina. Questo significherebbe che le cellule beta del pancreas non sarebbero andate del tutto distrutte. E cinque anni fa, dei ricercatori della Uppsala University in Svezia hanno confermato l’ipotesi originaria, trovando che almeno la metà dei pazienti con diabete tipo 1 da almeno 10 anni, ha un pancreas che può ancora produrre insulina. Per di più, questi soggetti producono una citochina chiamata interleuchina 35 (IL-35), che sopprime il sistema immunitario e reduce l’infiammazione generalizzata del loro organismo.

Con analisi del sangue e il test ultra-sensitive ELISA, i ricercatori hanno misurato nel loro plasma i livelli del C-peptide, un indicatore della sintesi di insulina, oltre a viarie citochine infiammatorie e quella antiinfiammatoria IL-35. Con sorpresa, la metà dei pazienti erano positive per il C-peptide, il che vuol dire che producevano ancora una piccola quantità di insulina. Gli stessi avevano contemporaneamente più alti livelli della IL-35, rispetto ai pazienti negativi, indicando che le loro reazioni infiammatorie interne erano compensate a livello immunitario. Ricerche precedenti avevano suggerito che la IL-35 potesse sopprimere le reazioni autoimmuni, perciò nulla di strano che questi pazienti per compensare il loro stato deficitario si attrezzino a produrre IL-35 per riportare in pareggio l’ago della bilancia. A parte se la IL-35 possa diventare un farmaco da impiegare nel diabete autoimmune, dato che la metà dei pazienti è ancora in grado di produrre una certa quantità di insulina, sarebbe possibile trovare un modo per incoraggiare le cellule beta del pancreas a rigenerarsi, per aumentare ancor di più la sintesi di insulina endogena.

Un farmaco del genere non esiste ancora, anche se sono stati scoperti dei meccanismi di trascrizione genica e le proteine che li guidano. Ma elaborare una molecola che bersagli queste proteine richiede del tempo, sforzi, prove cliniche e tutto quello che ne consegue. Per di più le proteine in questione sono fattori di trascrizione, ovvero proteine che legano direttamente il DNA dicendo alla cellula cosa produrre o meno. E non è facile ingegnerizzare una molecola per queste proteine, almeno per ora, soprattutto se non è noto quale contesto cellulare ne determina l’attivazione. Esiste, invece, una possibilità ancora più semplice e diretta, ovvero intervenire sulla dieta. Ci sono prove scientifiche sufficienti a dimostrare che il glutine del grano sia citotossico per le cellule beta del pancreas; e che una dieta senza glutine i pazienti con diabete tipo 1 possa essere di beneficio. Qualche anno fa, è stato visto che topi con diabete genetico avevano cellule beta rimpicciolite o quasi atrofiche. A questi topi è stato permesso di accedere ad una dieta priva di glutine per un certo tempo, dopo il quale gli animali sono stati sacrificati.

Con sorpresa, i pancreas dei topi che avevano “mangiato” gluten-free avevano cellule beta di dimensioni maggiori, non erano affatto atrofizzate e producevano ancora un 20% residuo di insulina. Anche l’infiltrazione di linfociti T era molto bassa rispetto ai topi che avevano avuto una dieta regolare. Uno studio successivo ha rilevato che dopo somministrazione orale di frammenti di glutine in topi sia normali che NOD (diabetici ma non obesi), questi frammenti sono comparsi nel pancreas degli animali sacrificati. Questo indica che c’è la possibilità per i frammenti derivati dalla regolare digestione del glutine (da pane, pasta, ecc.) di oltrepassare la barriera intestinale e, attraverso il circolo sanguigno, raggiungere organi bersaglio come il pancreas. Il glutine è una miscela complessa di proteine; alcune componenti maggiori come le gliadine, hanno una digeribilità limitata e gli enzimi digestivi sono incapaci di frammentarle completamente. Questo lascia nell’intestino frammenti (peptidi) che possono avere delle funzioni biologiche, alcune delle quali riconosciute è la tossicità verso le cellule pancreatiche. Sembra che anche alcune proteine del frumento diverse dal glutine (alcune albumine e globuline) siano parzialmente lesive sulle funzioni del pancreas.

Come agire con mezzi naturali sulle cellule beta?

In condizioni di salute di base ed in assenza di infiammazione intestinale cronica o di intestino permeabile (sindrome leaky gut), questi peptidi non passano nel sangue ma con molta probabilità vengono distrutti dai batteri intestinali o espulsi. Ma considerando l’attuale stile di vita che “attanaglia” molti di noi, una certa permeabilità intestinale esiste comunque, associata spesso ad una flora intestinale non proprio bilanciata. Questo è sufficiente a lasciare passare questi peptidi nel torrente sanguigno, specie se il consumo di prodotti da forno a base di glutine è costante o comunque superiore alla media. Sebbene queste supposizioni meccanismi siano stati teorizzati o esaminati a carico di contesti di laboratorio, esistono maggiori prove sui meccanismi. Nel 2018 è stato pubblicato uno studio che ha provato come la simultanea modulazione della dieta e del microbiota intestinale causa due effetti positivi nei ratti di laboratorio geneticamente predisposti al diabete.

In prima battuta, normalizza l’infiammazione sistemica, secondariamente anche la produzione di chemochine da parte delle cellule beta che le mette in gradi di divenire bersaglio delle cellule immunitarie. Tutto questo quando i topi ricevevano una dieta dove non c’era traccia di glutine. Ma se il glutine alimentare rientrava nella dieta, la produzione di chemochine ricominciava. Lo stesso fenomeno si è verificato manipolando la composizione batterica intestinale con antibiotici selettivi. Questo ha spostato la composizione batterica e non ha variato alcuni biomarkers di base, ma ha normalizzato le citochine plasmatiche, la produzione di chemochine nel pancreas e la risposta infiammatoria dei recettori TLR4. Quindi potrebbe essere una buona strategia alimentare per chi è affetto da diabete tipo 1, di ridurre la quota di glutine a tavola, adottando cereali alternativi. E’ chiaro che gli accenni di risultati potrebbero essere evidenti dopo settimane o alcuni mesi, per poter rivitalizzare le cellule pancreatiche.

Nel frattempo, implementare la salute del microbiota intestinale può concorrere al proposito. Il dialogo fra il nostro metabolismo e il microbiota intestinale è ormai dimostrato; perciò introdurre alimenti fermentati nella dieta quotidiana potrebbe accelerare la rigenerazione (anche seppur limitata) delle cellule beta. Ma ci sono fattori alimentari diretti che possono tentare di rivitalizzare le cellule pancreatiche? Ci sono parecchie notizie aneddotiche sul fatto che elevate dosi di vitamina E (non fisiologiche, ma superiori ai 100-150 mg/die) possano migliorare la condizione glicemica in chi è affetto da diabete tipo1. Inizialmente si è speculato che questa vitamina agisse in virtù del suo potere antiossidante, per poter rigenerare le cellule. Ma oggi si sa che la vitamina E ha anche dei ruoli indipendenti dalla sua azione anti-radicali liberi. Possiede una proteina intracellulare (TAP-1/Sec14L2) che una volta legata ad essa induce la cellula a variare l’espressione di alcune regioni del DNA.

Quindi, l’integrazione costante di vitamina E da parte di chi è affetto da diabete genetico potrebbe, nel tempo, aiutare il pancreas a rigenerarsi parzialmente. Fonti estremamente ricche di vitamina E sono l’olio di germe di grano e la frutta a guscio, soprattutto noci, nocciole e semi di girasole. Tra la frutta, l’avocado è sicuramente il frutto più ricco di questa vitamina. Adottare questi alimenti nella dieta di pazienti, soprattutto fra i più giovani, con diabete tipo 1 può quantomeno aiutarli a gestire meglio la glicemia riducendo la quantità di insulina giornaliera necessaria ai loro bisogni.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Henschel AM et al. PLoS One 2018; 13(1):e0190351.

Espes D et al. Diabetes Care. 2017; 40(8):1090-1095.

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Nucci AM et al. Curr Diab Rep. 2015 Sep; 15(9):62.

Larsen J et al. Eur J Immunol. 2014; 44(10):3056-67.

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Pastore M et al. J Clin Endocr Metab. 2003; 88(1):162.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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