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Relazione dieta-demenza: sempre più prove portate dalla ricerca “sulla tavola”

Secondo le Nazioni Unite (ONU), la popolazione mondiale di persone di età pari o superiore a 60 anni crescerà da 970 milioni nel 2020 a 2,1 miliardi entro il 2050. Gli esperti prevedono che i tassi di demenza aumenteranno insieme a questa popolazione che invecchia. Quando le persone invecchiano, sperimentano una forma di infiammazione cronica di basso grado nel loro sistema immunitario. Gli esperti hanno collegato questo tipo di infiammazione legata all’età alla demenza e al declino cognitivo, fra gli altri problemi. La ricerca suggerisce che cibi diversi possono influenzare i tassi di infiammazione sia acutamente che cronicamente. Alcuni alimenti legati ad alti tassi di infiammazione includono: cibi lavorati, zucchero raffinato, quantità eccessive dicarne rossa, oli malsani e abuso di alcolici. Alcuni alimenti noti per le loro proprietà antinfiammatorie includono: pesce, frutta, verdura, noci e semi, thè verde e legumi.

Essere in grado di misurare il potenziale infiammatorio di diverse diete può aiutare i medici a raccomandare interventi dietetici per la salute cognitiva. Tuttavia, fino ad ora, ci sono state poche ricerche sugli effetti di una dieta infiammatoria sulla salute cognitiva. Sebbene alcuni studi suggeriscano che un aumento dell’assunzione di diete infiammatorie abbia effetti negativi sulla capacità cognitiva e sulla memoria, altri non hanno trovato alcun collegamento. Inoltre, l’unico studio prospettico basato sulla popolazione ad aver esplorato il problema finora includeva solo donne. Ciò limita la generalizzabilità dei suoi risultati. Recentemente, ricercatori degli Stati Uniti, della Grecia e dell’Irlanda hanno condotto uno studio basato sulla popolazione che ha coinvolto uomini e donne per studiare gli effetti delle diete infiammatorie sul declino cognitivo. I ricercatori hanno scoperto che quelli con le diete più infiammatorie avevano 3,5 volte più probabilità di quelli con le diete meno infiammatorie di sviluppare la demenza.

Per spiegare i risultati, i ricercatori affermano che dopo l’età compresa fra i 40 e i 50 anni il sistema immunitario inizia a declinare di efficienza. In quello che è noto come “inflammaging”, il sistema immunitario aumenta la produzione di mediatori pro-infiammatori, che possono raggiungere il sistema nervoso centrale e ridurre i livelli del fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Il BDNF è un fattore di crescita che supporta la crescita, la maturazione e il mantenimento dei neuroni. L’infiammazione è anche collegata allo stress ossidativo e all’induzione dell’apoptosi, o morte cellulare programmata. Questi effetti costituiscono alcune delle principali vie neuroinfiammatorie e neurodegenerative coinvolte nella demenza, o in altre condizioni come il morbo di Parkinson. Sebbene l’infiammazione sia un fattore comune dell’invecchiamento, la ricerca suggerisce che i componenti alimentari potrebbero esacerbarlo. Alimenti diversi possono anche aumentare i livelli di citochine pro-infiammatorie, come quelle menzionate prima.

L’aumento dell’infiammazione o dell’infiammazione sistemica può danneggiare direttamente i neuroni e avere un impatto sulla funzione cardiovascolare. Sia il danno diretto al cervello che i cambiamenti nella funzione cardiovascolare potrebbero contribuire al declino cognitivo. Per tale ragione la disciplina a tavola è una componente fondamentale del nostro stile di vita. Questo non vuol dire evitare pietanze che amiamo o “spizzicare” con qualcosa di non propriamente salutare ogni tanto. E’ il basare la nostra alimentazione su prodotti troppo elaborati e poveri di componente nutrizionale che deve essere cambiato. Per almeno 30 anni la scienza ha studiato gli effetti della dieta Mediterranea, e ne ha sottolineato le capacità di ridurre la pressione arteriosa, migliorare la funzionalità renale ed parzialmente anche quella cerebrale. Ma non è l’unico tipo di dieta che è sotto indagine. Dato che la scienza ha provato che l’inflammaging potrebbe provocare condizioni mediche legate all’età, l’interesse a trovare una combinazione alimentare che vada bene per ognuna di esse è abbastanza alto.

E questo non solo per incentivare una medicina personalizzata, ma per capire meglio come il nostro terreno genetico si comporta davanti alle variazioni sia ambientali che alimentari. Ecco perché sono spuntate le dieta paleolitica, la dieta Wahls, la dieta del protocollo autoimmune (AIP) ed alcune loro versioni modificate. Fra queste vi è una forma di dieta chetogenica adattata a coloro che hanno avuto sequele di ictus cerebrale, chiamata dieta MIND. Il subire un tale evento aumenta notevolmente le possibilità che si possa sviluppare nel tempo un declino cognitivo, e i ricoveri ospedalieri per ictus oggi sono stimati in tutto il mondo nell’ordine di uno ogni 30 secondi. Supportare la terapia medica clinica con un corretto apporto nutrizionale può migliorare la qualità di vita di questi pazienti, che sono a forte rischio non solo di morte ma anche di sequele future invalidanti.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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