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Biochimica del suicidio: scavalcando le “vecchie” dopamina e serotonina per fare evolvere una medicina personalizzata

Il suicidio per ragioni mediche o psichiatriche rappresenta una realtà drammatica della medicina clinica.Sebbene i sintomi principali della depressione siano psicologici, scienziati e medici sono arrivati a capire che la depressione è una malattia complessa con effetti fisici in tutto il corpo. Ad esempio, misurare i marcatori del metabolismo cellulare è diventato un approccio importante per studiare le malattie mentali e sviluppare nuovi modi per diagnosticarle, curarle e prevenirle. In una nuova indagine, i ricercatori della School of Medicine dell’Università della California a San Diego hanno avanzato questa linea di lavoro, rivelando una connessione tra il metabolismo cellulare e l’autolesionismo. Hanno scoperto che le persone con depressione e ideazione suicidaria avevano composti rilevabili nel sangue che potevano aiutare a identificare gli individui a maggior rischio di suicidio. I ricercatori hanno anche scoperto differenze basate sul sesso nel modo in cui la depressione influisce sul metabolismo cellulare.

Mentre molte persone affette da depressione sperimentano miglioramenti con la psicoterapia e i farmaci, la depressione di alcune persone è refrattaria al trattamento, il che significa che il trattamento ha un impatto minimo o nullo. Pensieri suicidi sono sperimentati dalla maggior parte dei pazienti con depressione refrattaria al trattamento e circa il 30% tenterà il suicidio almeno una volta nella vita. I ricercatori hanno analizzato il sangue di 99 partecipanti allo studio con depressione refrattaria al trattamento e ideazione suicidaria, nonché un uguale numero di controlli sani. Tra le centinaia di diverse sostanze biochimiche circolanti nel sangue di questi individui, hanno scoperto che cinque potrebbero essere usate come biomarkers per classificare i pazienti con depressione refrattaria al trattamento e ideazione suicidaria. Tuttavia, quali di cinque potevano essere utilizzati differivano tra uomini e donne.

Non che sia una novità. Ne senso che gli scienziati sanno da alcuni decenni che la neurochimica dei soggetti con depressione ha le sue alterazioni biochimiche. La prima teoria neurochimica della depressione degli anni ’50, avanzo l’ipotesi “dopaminergica”, ovvero della carenza del funzionamento della chimica cerebrale della dopamina, seguita da quella “adrenergica”, per alterazione della sintesi/metabolismo della noradrenalina. Negli anni ’80 si fece strada la teoria “serotoninergica”, che ha fatto esplodere la comparsa della categoria farmacologica degli inibitori della ricaptazione della serotonina o SSRI. Che il cervello delle persone con depressione (maggiore o altre tipologie) abbia alterazioni della sintesi di certi neuro-mediatori è constatato, ma negli anni si è potuto appurare che non sono le uniche vie ad essere interessate. Prova ne è che almeno il 30% dei pazienti depressi non risponde sia agli antidepressivi convenzionali (dopaminergici) che agli SSRI (serotoninergici).

Sono registrate anche anomalie del metabolismo cerebrale del ferro e amminoacidi come dell’arginina, della metionina e del triptofano (indipendentemente dalla serotonina). Per esempio, uno studio del 2021 che ha indagato le relazioni fra ideazioni suicide nei pazienti con disturbo bipolare ha trovato che metaboliti intermedi del triptofano, chinurenina (KNA), acido chinurenico (KYRE), acido chinolinico (QUIN) e acido picolinico (PIC) nel liquido cerebrospinale (CSF) utilizzando la cromatografia liquida ad ultra prestazioni con spettrometria di massa tandem (UPLC-MS/MS), per indagare se i metaboliti fossero correlati a sintomi depressivi o alla storia di comportamento suicidario. Inoltre, hanno analizzato se le varianti genetiche dell’enzima ACMSD fossero associate alle concentrazioni di PIC e QUIN nel CSF. Hanno scoperto che le concentrazioni di KYNA e PIC, così come il rapporto KNA/triptofano, erano aumentati nel disturbo bipolare rispetto ai controlli.

Le concentrazioni di PIC nel liquido cerebrospinale erano inferiori nei soggetti con una storia di comportamento suicidario rispetto a quelli senza, supportando l’ipotesi che un basso PIC nel liquido cerebrospinale sia un indicatore di vulnerabilità al suicidio. I soggetti bipolari che assumevano antidepressivi avevano concentrazioni di chinurenina e KYRE più elevate nel liquido cerebrospinale rispetto ai soggetti a cui non venivano somministrati questi farmaci. È stata trovata un’associazione negativa tra una variante genetica di ACMSD e il rapporto PIC/QUIN, indicando che un polimorfismo nella ACMSD è associato ad un eccesso di formazione di QUIN a scapito del PIC. Questi metaboliti sono dei modulatori dei recettori eccitatori NMDA ed AMPA del glutammato, nonché di alcuni inibitori come quello della glicina o del GABA. Recentemente è stato scoperto che i livelli di chinurenina nel sangue erano elevati nei tentativi di suicidio, rispetto non solo ai controlli sani ma anche ai pazienti con depressione che non avevano mai tentato il suicidio.

Studi precedenti avevano anche correlato una maggiore alterazione del metabolita della serotonina 5-idrossi-indolacetato (5-HIAA) in corso di ideazione suicida. KYNA, oltre a bloccare il recettore nicotinico colinergico α7, antagonizza il sito della glicina del recettore NMDA. È interessante notare che la ketamina, antagonista del recettore NMDA, ha dimostrato di ridurre la suicidalità in quattro studi clinici su piccola scala (Diaz Granados et al, 2010b; Larkin e Beautrais, 2011; Price et al. 2009; Zarate et al. 2012). Questa scoperta può principalmente suggerire un potenziamento della segnalazione del recettore NMDA come parte della fisiopatologia del comportamento suicidario, sebbene la ketamina abbia anche altri effetti nel sistema nervoso centrale. Si ipotizza che il QUIN e il quoziente QUIN/KYNA siano elevati nei tentativi di suicidio a causa di un’infiammazione del sistema nervoso centrale di basso grado. La neuroinfiammazione nella depressione, infatti, è una nozione nota almeno dall’inizio degli anni 2000.

Nello studio del team di San Diego, mentre c’erano chiare differenze nel metabolismo sanguigno tra maschi e femmine, alcuni marcatori metabolici dell’idea suicidaria erano coerenti in entrambi i sessi. Ciò includeva biomarcatori per la disfunzione mitocondriale, che si verifica quando le strutture che producono energia delle nostre cellule non funzionano correttamente. I mitocondri producono ATP, la valuta energetica primaria di tutte le cellule. L’ATP è anche una molecola importante per la comunicazione cellula-cellula, e i ricercatori ipotizzano che sia questa funzione la più disregolata nelle persone con ideazione suicidaria. Quando l’ATP è all’interno della cellula agisce come una fonte di energia, ma all’esterno della cellula è un segnale di pericolo che attiva decine di percorsi protettivi in risposta ad alcuni fattori di stress ambientale. Esistono infatti recettori che lo legano sia direttamente (P2X / P2Y) che come prodotti di degradazione enzimatica quali l’adenosina (recettori A1, A2 ed A3).

Sono state riscontrate carenze personalizzate di Coenzima Q, flavina adenina dinucleotide (FAD), citrullina, luteina, carnitina o folato. I percorsi regolati dalla funzione mitocondriale hanno dominato la firma metabolica dei disturbi cellulari indagati dai ricercatori. Poiché alcune delle carenze metaboliche identificate nello studio riguardano composti disponibili anche come integratori (es. folato, CoQ10 e carnitina), i ricercatori sono interessati ad esplorare la possibilità di personalizzare il trattamento della depressione con questi composti per aiutare a colmare le lacune nel metabolismo che sono necessari per il recupero. Come detto prima, anche il metabolismo della metionina o dell’arginina sono disregolati nella depressione. Dal metabolismo intermedio di questi aminoacidi derivano altri potenziali fattori neuroregolatori come l’agmatina, l’ossido nitrico e l’acido solfidrico, il cui ruolo nella chimica cerebrale si sta cominciando ad esplorare da poco meno di un ventennio.

Ovviamente, assumente integratori a base delle sostanze elencate sopra non rappresenta una cura contro la depressione; lo ha sottolineato anche il prof. Naviaux, direttore senior dello studio, che sottolinea invece come comprendere la chimica di questi metaboliti può essere utile per sfruttare una medicina personalizzata diretta a sottogruppi di pazienti. Non tutti i pazienti infatti, come detto sopra, rispondono ad antidepressivi classici o SSRI o altri antidepressivi atipici. In molti di essi ci sono disturbi anche cel metabolismo dell’acido folico, della piridossina (vitamina B6), della biopterina e del NAD, un cofattore energetico mitocondriale derivato dalla niacina o vitamina B3. Quindi sarebbe possibile integrare la terapia antidepressiva di fondo di ordine farmacologico con il più probabile difetto metabolico identificato nei sottogruppi di pazienti tramite analisi metabolomica. La depressione invero, come detto in precedenza, è una malattia neurochimica complessa. E la sua visione patogenetica sta cambiando ed arricchendosi col passare dei decenni.

Negli ultimi 10 anni, per esempio, si è arricchita dell’integrazione interventistica del microbiota intestinale. La sterminata comunità batterica ospite nelle nostre viscere ha una complessissima relazione col nostro metabolismo intermedio, cerebrale, immunitario ed endocrino. Gli stessi batteri intestinali possono elaborare alcuni dei neurotrasmettitori prodotti dalle nostre cellule neuronali; e loro prodotti di scarto azotati possono interferire con il metabolismo cerebrale o avere effetti tossici diretti sul tessuto nervoso. Inoltre, lo studio indica che più che stress ossidativo, ci sarebbe uno stress biochimico di tipo opposto ovvero di riduzione. Ciò contrasta con lo stress ossidativo associato alla depressione maggiore in assenza di ideazione suicidaria. Lo stress ossidativo e lo stress riducente sono le due facce di uno spettro controllato dalla funzione mitocondriale. Quando questa decade, lo stress ossidativo decade in stress riducente. Ciò accade perché i mitocondri attivi sono necessari per produrre ossidanti come il superossido e il perossido di idrogeno.

In questo frangente, gli scienziati hanno confermato che la proteina mitocondriale FGF21 è emerso come un utile biomarker della disfunzione mitocondriale associata allo stress riduttivo. Quindi l’innesco dell’ideazione suicidaria potrebbe non essere lo stress ossidativo come supposto prima, ma uno stress di tipo opposto. Tutte queste informazioni non si limitano ai risvolti sulla depressione come malattia isolata. Il professor Naviaux pensa che molte malattie croniche sono in comorbidità con la depressione, perché può essere estremamente stressante affrontare una malattia per anni alla volta. Se si riuscisse a trovare modi per trattare la depressione e l’idea suicidaria a livello metabolico, si potrebbero anche contribuire a migliorare i risultati per molte malattie che portano alla depressione. Molte malattie croniche, come il disturbo da stress post-traumatico, la sindrome della fatica cronica, la fibromialgia e malattie autoimmuni molto invalidanti e dolorose come lupus sistemico e spondilite anchilosante, non sono letali a meno che non portino a pensieri e azioni suicide.

Se la metabolomica potesse essere utilizzata per identificare le persone a maggior rischio, alla fine potrebbe aiutare la clinica a salvare più vite umane.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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