venerdì, Aprile 25, 2025

Il disturbo borderline di personalità: una complessità emotiva con al centro la solitudine?

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Caratteristiche principali

Il Disturbo Borderline di Personalità è un disturbo psichiatrico che rientra nel Cluster B del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), insieme a disturbi come quello antisociale, istrionico e narcisistico. È caratterizzato da instabilità marcata nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé, nell’umore e nel comportamento. Il termine “borderline” (cioè “di confine”) fu coniato per indicare un funzionamento al limite tra nevrosi e psicosi, anche se oggi questa definizione è stata superata a favore di una visione più moderna e sfumata. Il DSM-5 identifica 9 criteri diagnostici, di cui almeno 5 devono essere presenti per una diagnosi. Essi includono:

  1. Sforzi disperati per evitare un reale o immaginato abbandono. Anche piccoli segnali di distacco (es. un ritardo a una telefonata) possono provocare ansia intensa e reazioni sproporzionate.
  2. Relazioni interpersonali instabili e intense, alternate tra idealizzazione (vedere l’altro come perfetto) e svalutazione (vederlo come totalmente negativo).
  3. Alterazione dell’identità: immagine di sé instabile, cambiamenti rapidi nei valori, negli obiettivi, o nella percezione di sé.
  4. Impulsività in almeno due aree potenzialmente dannose (es. spese eccessive, sesso, abuso di sostanze, guida pericolosa, abbuffate alimentari).
  5. Comportamenti suicidari ricorrenti, gesti o minacce suicidarie, o condotte autolesive (es. tagliarsi).
  6. Instabilità affettiva, con sbalzi di umore intensi e rapidi, che possono durare da poche ore a qualche giorno (non cicli lunghi come nel disturbo bipolare).
  7. Sensazione cronica di vuoto. Le persone con DBP spesso descrivono un senso di mancanza interiore o un’assenza di significato.
  8. Rabbia intensa e inappropriata, spesso difficile da controllare, con scoppi d’ira improvvisi, sarcasmo o amarezze.
  9. Ideazione paranoide transitoria o sintomi dissociativi, legati allo stress (es. sentirsi “fuori dal corpo” o avere pensieri paranoici nei momenti di grande tensione).

Cause e fattori di rischio

Le cause esatte non sono completamente note, ma si ritiene che il disturbo derivi da una combinazione di fattori biologici, psicologici e ambientali:

  • Fattori genetici: una certa predisposizione ereditaria sembra esistere, specialmente se ci sono parenti con disturbi dell’umore o della personalità.
  • Traumi infantili: abusi fisici, sessuali, emotivi o trascuratezza precoce sono frequentemente presenti nella storia di vita dei pazienti borderline.
  • Ambiente familiare invalidante: famiglie in cui i sentimenti o i bisogni del bambino non vengono riconosciuti, accolti o rispettati.
  • Alterazioni neurobiologiche: studi mostrano disfunzioni in aree cerebrali legate alla regolazione emotiva, come l’amigdala e la corteccia prefrontale.

Trattamento psicologico

Contrariamente a quanto si pensava in passato, il DBP è trattabile e la prognosi può essere positiva, soprattutto con un trattamento adeguato e continuo. Molti pazienti vedono una riduzione significativa dei sintomi dopo i 30-40 anni. Tuttavia, può esserci una lunga fase di sofferenza, con un rischio aumentato di suicidio (stimato intorno al 10%). Aiutare i familiari a capire il disturbo è fondamentale per migliorare le dinamiche e ridurre i conflitti. Esistono programmi specifici, come Family Connections, che insegnano strategie comunicative efficaci e gestione dello stress. Le persone con DBP hanno un bisogno intenso di connessione, ma al tempo stesso una profonda paura dell’abbandono. Questo porta spesso a relazioni turbolente, in cui il partner o l’amico può sentirsi sopraffatto, confuso o manipolato, anche se la persona borderline non agisce per cattiveria ma per una sofferenza reale e profonda. L’alternanza di idealizzazione e svalutazione è uno dei segni più evidenti nelle relazioni strette.

L’aggiunta del fattore “solitudine”

Secondo dei ricercatori dell’Univeristà di harvard, la solitudine è un fattore chiave nel mantenimento del disturbo borderline di personalità. Pertanto, molti pazienti citano un aumento delle connessioni sociali come obiettivo primario del trattamento. Nella Harvard Review of Psychiatry, la Dr.ssa Lois W. Choi-Kain, medico del McLean Hospital di Harvard, e i colleghi chiedono che il trattamento del DBP si estenda oltre le relazioni terapeutiche esclusive per aiutare i pazienti a costruire connessioni durature con gli altri nella comunità.In una revisione della letteratura scientifica, il team della Dr. ssa Choi-Kain ha scoperto che, rispetto ai controlli sani, gli individui con DBP segnalano costantemente livelli più elevati di solitudine, che è definita come una sensazione soggettiva di insufficiente connessione sociale distinta dal grado oggettivo di isolamento sociale della persona. Inoltre, le reti sociali delle persone con DBP includono relazioni più intense ed esclusive, come partner romantici e terapeuti, e meno conoscenti.

La solitudine spesso persiste quando i sintomi clinici scompaiono, indicando che è parte integrante del BPD. Nella popolazione generale, la solitudine è stata collegata a numerose condizioni di salute croniche e mortalità prematura. Pertanto, la solitudine dovrebbe essere presa di mira come intervento di salute generale nel BPD. Il team, tuttavia, ha identificato molteplici studi che dimostrano che la terapia comportamentale dialettica, che si concentra sulla disregolazione emotiva e sui deficit di abilità, non si traduce in adeguati miglioramenti funzionali nei ruoli che possono fornire un senso positivo di sé. I principali approcci psicodinamici, come il trattamento basato sulla mentalizzazione e la psicoterapia focalizzata sul transfert, si concentrano sul miglioramento della cognizione sociale e dell’intuizione accurate e mature, ma non sempre si concentrano sull’integrazione sociale nella comunità.

Oltre a notare le carenze degli attuali approcci terapeutici, la Dr.ssa Choi-Kain e i suoi coautori criticano i colleghi per “aver sostenuto la migrazione sequenziale dei pazienti attraverso più psicoterapie specialistiche intensive”. Sottolineano che “questa pratica di concatenare terapie lunghe e inaccessibili socializza continuamente i pazienti in un’assistenza diadica in contesti terapeutici piuttosto che enfatizzare l’autosufficienza nel mondo reale”. Un’opzione migliore, afferma il gruppo, è il modello di gestione psichiatrica generale (GPM), che considera l’ipersensibilità agli stress interpersonali come la disfunzione principale nel BPD. Oltre a sfruttare la psicoeducazione per aiutare i pazienti a comprendere in modo più realistico le loro interazioni sociali, il GPM enfatizza lo sviluppo dell’autostima e dell’identità attraverso il lavoro e altre forme di responsabilità. L’idea è di ampliare le reti sociali dei pazienti aiutandoli a formare relazioni a basso rischio attraverso interazioni legate al ruolo, programmate e orientate all’attività come:

  • Terapia di gruppo, che consente ai pazienti di praticare il comportamento sociale in un ambiente di supporto, fornisce un forum per istruzioni esplicite su regole e valori della comunità e bilancia le relazioni intense ed esclusive che le persone con BPD tendono a formare
  • Collegamento a risorse comunitarie non cliniche, tra cui attività organizzate in linea con i veri interessi dei pazienti, come giardinaggio, sport e arti, nonché l’impegno in attività individualizzate in uno spazio condiviso
  • Interventi professionali per aumentare l’autosufficienza dei pazienti partecipando ad attività quotidiane e relazioni strutturate con gli altri
  • Supporto tra pari, che sembra avvantaggiare sia i pazienti che gli specialisti del supporto tra pari.

a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Mermin SA et al. Harvard Rev Psychiatry 2025; 33(1):31-40.

Schulze A, Streit F et al. Transl Psychiatry. 2023; 13(1):398.

Goldbach RE et al. Eur J Psychotraumatol. 2023; 14(2):2263317.

Belohradova MK et al. Neuropsychiatr Dis Treat. 2022; 18:787-99.

Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la Clinica Basile di catania (dal 2013) Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania (del 2020) Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna dal 2024. Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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