sabato, Maggio 4, 2024

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Gli anticorpi come causa di dolore: un balzo al di là delle nozioni del secolo scorso

Gli anticorpi (immunoglobuline, Ig) sono una classe speciale di glicoproteine presentate sulla superficie delle cellule B come recettori legati allamembrana e nel siero del sangue e nel fluido tissutale come molecole solubili. Gli anticorpi sono i fattori più importanti dell’immunità umorale specifica. Gli anticorpi sono glicoproteine relativamente grandi costituite da due catene (H) pesanti identiche, una regione di cerniera, i domini CH2 e CH3 e da due catene leggere (L) identiche. Nei mammiferi ci sono cinque classi di Ig – A, D, E, G ed M – che sono differenti nella struttura e nella composizione delle catene pesanti e nelle loro funzioni. Gli anticorpi possono esistere come monomeri (IgG, IgD, IgE, IgA sieriche) e come oligomeri (l’IgA secretoria è un dimero e l’IgM è un pentamero). L’IgG rappresenta il 70-75% delle immunoglobuline del siero del sangue di un essere umano sano. Gli anticorpi sono usati dal sistema immunitario per identificare e neutralizzare gli organismi invasori e sono responsabili delle funzioni dell’effetto antigene-vincolante e dell’effettore.

Diverse condizioni ossee, ad esempio metastasi tumorali alle ossa, osteoporosi e artrite reumatoide (AR), sono associate al rischio di sviluppare dolore persistente. L’aumento dell’attività osteoclastica è spesso il segno distintivo di queste patologie ossee e non solo porta al rimodellamento osseo, ma è anche fonte di fattori pronocicettivi che sensibilizzano i nocicettori che innervano l’osso. Sebbene storicamente si ritenesse che la perdita ossea nell’AR fosse una conseguenza dell’infiammazione, sia l’erosione ossea che il dolore possono verificarsi anni prima dell’insorgenza dei sintomi. Questo perché è stato scoperto abbastanza recentemente che sono spesso gli stessi anticorpi a determinare la sintomatologia dolorosa. Essi sembrano agire indipendentemente dalla produzione delle classiche prostaglandine che producono infiammazione e dolore. Piuttosto, le immunoglobuline dialogano con le fibre nervose presenti nella capsula articolare o nella membrana che riveste l’osso, stimolando direttamente i recettori del dolore.

Ecco perché ci sono fasi dell’artrite reumatoide che non rispondono affatto ad antinfiammatori classici come naproxene (Artrosilene) o nimesulide (Aulin) o ibuprofene (Brufen). Al contrario, spesso i pazienti con questo fenomeno rispondono prontamente con la terapia biologica (anticorpi monoclonali) che sopprimono la produzione di citochine infiammatorie, ma anche di auto-anticorpi (che non sono altro che IgG) da parte delle cellule immunitarie. Il mediatore a valle di questa risposta è stato provato essere la coppia PLA2 / LPC: la prima è un enzima che scinde certi fosfolipidi di membrana; la seconda è il prodotto stesso di attacco del fosfolipide e possiede dei suoi recettori cellulari. La LPC appartiene alla famiglia dei liso-lipidi alla quale fa parte il PAF o fattore attivante le piastrine, che tra l’altro viene prodotto durante l’abbronzatura ed è responsabile in parte del dolore da scottatura. Quando gli animali da esperimento con artrite reumatoide vengono trattati con antagonisti del PAF o della LPC, il loro dolore migliora.

Quindi le vie del dolore non fanno solo capo alle vecchie prostaglandine, alla bradichinina o altri mediatori conosciuti. In dipendenza dalla causa, dal contesto e dal terreno biologico, anche gli stessi anticorpi possono avere un loro ruolo diretto sul dolore o altre manifestazioni della malattia. Questo è anche il caso delle allergie e delle dermatiti. In passato si pensava che le vie del dolore cutaneo, sottocutaneo e quello del prurito fossero comuni e portassero al cervello la stessa informazione, ma modulata in modo differente. Oggi si sa che non è così Negli ultimi anni, diversi studi clinici hanno testato una strategia che prevede il blocco dell’immunoglobulina E (IgE), un tipo di anticorpo prodotto in risposta agli allergeni. I pazienti con allergie producono IgE, causando reazioni allergiche, ma il suo ruolo nel prurito non è stato chiaro. E ‘una situazione simile alla scoperta sul ruolo degli anticorpi nella genesi del dolore nell’artrite reumatoide, come descritto sopra.

Ma a differenza dei segnali di prurito standard, in cui le cellule della pelle chiamate mastociti rilasciano istamina, le IgE nei topi con eczema attivano un tipo di globuli bianchi chiamati granulociti basofili. A differenza dei loro cugini neutrofili ed eosinofili, i basofili attivano un insieme completamente diverso di cellule nervose rispetto alle cellule che trasportano segnali di prurito che rispondono agli antistaminici. La scoperta che il prurito acuto nell’eczema è legato all’esposizione agli allergeni può aiutarli a evitare cose che li fanno prudere intensamente, inclusi animali, polvere, muffe o determinati alimenti. Nel frattempo, offre anche alle case farmaceutiche nuovi bersagli per il trattamento del prurito nei pazienti con eczema, comprese proteine e molecole. Ancora più recentemente, la biologia ha individuato di sottopopolazioni di basofili con caratteristiche diverse: (a) i classici basofili indotti dall’interleuchina (IL) -3 che sono attivati attraverso meccanismi dipendenti dalle IgE; e, all’opposto, (2) basofili del timo che dimostrano meccanismi indipendenti dalle IgE.

E’ vero che il prurito che affligge coloro affetti da dermatite o eczema atopico dipende da citochine come IL-4, IL-13, IL-31 e dalla stimolazione di recettori a valle come TRPA, TRPV1 e CysLTR2. Ma la sorgente a monte potrebbe essere proprio l’anticorpo stesso (IgE), che legando l’allergene scatena tutte le reazioni cellulari a valle a carico dei neuroni sensitivi delle terminazioni nervose del prurito. Quindi una strategia farmacologica per limitare la sintesi di anticorpi in eccesso nelle malattie infiammatorie, allergiche ed altro ancora, potrebbe risultare più specifica di tante terapie attuali. Persino per i dolori articolari post-COVID, la scienza ha invocato la produzione eccessiva di anticorpi e di auto-anticorpi in modo similare a quanto si verifica nelle autoimmunità reumatiche. Diversi manoscritti hanno documentato un’associazione tra anticorpi anti-nucleo (ANA) e COVID-19. Due studi recenti hanno documentato la relazione tra ANA e sindrome post-COVID. Uno studio pubblicato pochi mesi fa, ha mostrato un’elevata prevalenza di screening ANA positivo con un alto titolo di anticorpi nei pazienti post-COVID.

I pazienti con uno screening ANA positivo avevano più dolori articolari, anche se la dimensione del campione era piccola. In un altro studio di pazienti guariti 5 mesi dopo il COVID, una gran parte di loro con la cosiddetta “nebbia o fatica cerebrale” (brain fog), avevano positività per gli ANA. E’ chiaro che non si sa ancora il ruolo o il significato dell’associazione fra anticorpi o auto-anticorpi post-COVID e manifestazioni dolorose o di altro tipo. Ma considerata adesso l’abbondanza di letteratura e casistica clinica post-pandemia, per i ricercatori ci sarà da lavorare sull’argomento almeno per qualche decennio.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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