sabato, Aprile 26, 2025

La persistenza infiammatoria nella malattia di Lyme: nuove scoperte ed opportunità di terapia

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La malattia di Lyme, una malattia trasmessa dalle zecche che si nutrono di animali infetti come i roditori e poi mordono gli esseri umani, colpisce ogni anno quasi mezzo milione di persone negli Stati Uniti. Anche nei casi acuti, la malattia di Lyme può essere devastante; ma un trattamento precoce con antibiotici può prevenire lo sviluppo di sintomi cronici come problemi cardiaci, neurologici e artrite. I sintomi che persistono acartila lungo dopo il trattamento della malattia non sono rari: uno studio del 2022 ha rilevato che il 14% dei pazienti diagnosticati e trattati precocemente con terapia antibiotica svilupperebbe comunque la malattia di Lyme post-trattamento (PTLD). Eppure i medici si interrogano sulle cause della malattia e su come aiutare i loro pazienti ad affrontare sintomi che vanno da grave affaticamento e difficoltà cognitive a dolori muscolari e artrite.

Ora, gli scienziati della Northwestern University ritengono di aver scoperto cosa fa sì che l’infezione trattata imiti una malattia cronica: l’organismo potrebbe rispondere ai residui della parete cellulare della Borrelia burgdorferi (il batterio che causa la malattia di Lyme), che si rompe durante il trattamento ma persiste nel fegato. Ciò corrisponde a una teoria alla base delle cause sottostanti il ​​COVID-19 lungo, in quanto la persistenza di molecole virali può favorire una risposta immunitaria forte, seppur non necessaria. La malattia di Lyme e il COVID-19 lungo sono chiaramente malattie molto diverse, ma è possibile che condividano un meccanismo più generale di infiammazione inappropriata causata dai residui di una precedente infezione. Il peptidoglicano è un componente strutturale di tutte le cellule batteriche e un bersaglio comune degli antibiotici, inclusa la penicillina.

La ricerca ha monitorato la biodistribuzione del peptidoglicano da diversi batteri, in tempo reale, e ha scoperto che tutto il materiale della parete cellulare viene rapidamente eliminato, mentre il peptidoglicano della malattia di Lyme persiste per settimane o mesi. L’artrite di Lyme è uno degli effetti a lungo termine più comuni dell’esposizione alla malattia di Lyme. Se un paziente ha un ginocchio gonfio, ad esempio, è pieno di liquido sinoviale, un lubrificante naturale presente nelle articolazioni. Il team ha esaminato il liquido negli esseri umani e ha scoperto che frammenti di peptidoglicano erano presenti per settimane o mesi dopo il trattamento. Rispetto al peptidoglicano di altri batteri, il peptidoglicano di Lyme, tuttavia, è strutturalmente unico, e questa differenza potrebbe essere la causa della sua persistenza negli esseri umani.

Dopo la morte delle cellule batteriche, le molecole sopravvissute tendono a trasferirsi nel fegato, che non è in grado di metabolizzare il peptidoglicano modificato. Senza questa modifica, sembra probabile che il peptidoglicano venga eliminato immediatamente, come in altre infezioni. Le insolite proprietà chimiche del peptidoglicano di Borrelia promuovono la persistenza: alcuni pazienti, quindi, avrebbero una risposta immunitaria più robusta o più forte, che potrebbe comportare un esito peggiore della malattia, mentre il sistema immunitario di altri potrebbe ignorare ampiamente la molecola. Quindi, in sostanza, non si tratta della presenza o meno della molecola, ma piuttosto di come un individuo reagisce ad essa. I ricercatori sperano che queste scoperte rivoluzionarie portino allo sviluppo di test più accurati, possibilmente per i pazienti con PTLD, e a opzioni terapeutiche più raffinate quando gli antibiotici hanno fallito.

I residui di peptidoglicano all’interno della cartilagine o delle articolazioni possono essere responsabili dei sintomi persistenti dopo la risoluzione di un’infezione, della malattia di Lyme o di altre patologie. Non è raro, infatti, che il dolore articolare sia un sintomo clinico sia durante la fase attiva della malattia che dopo un’intensa terapia antibiotica. In uno studio del 2023 dello stesso team, su 56 campioni intraoperatori di tessuto sinoviale e liquido sinoviale ottenuti da pazienti sottoposti a sostituzione protesica del ginocchio (TKA), 33 di questi erano positivi alla presenza di peptidoglicano, indicando che anche se la procedura TKA non causa infezioni articolari, un’infiammazione silente causata dal peptidoglicano rilasciato dalla degradazione batterica occasionale da parte del sistema immunitario locale potrebbe determinare una flogosi cronica (di lunga durata) che potrebbero spiegare la refrattarietà alla terapia con FANS o antibiotici.

Per contrastare efficacemente la PTLD, invece di neutralizzare un’infezione che potrebbe non esistere più, sono in corso sforzi per neutralizzare la molecola infiammatoria, incluso l’utilizzo di anticorpi monoclonali per colpire il peptidoglicano e distruggerlo. Ma c’è di più. I ricercatori dello stesso team hanno anche identificato che la piperacillina, un antibiotico della stessa classe della penicillina, ha curato efficacemente i topi dalla malattia di Lyme a una dose 100 volte inferiore a quella efficace di doxiciclina, l’attuale trattamento gold standard. A una dose così bassa, la piperacillina ha anche l’ulteriore vantaggio di non avere praticamente alcun impatto sui microbi intestinali residenti. Gli autori sostengono che la piperacillina potrebbe anche essere un candidato per interventi preventivi, in cui un soggetto potenzialmente esposto alla malattia riceverebbe una singola dose del farmaco.

Per giungere alla conclusione che il farmaco affine alla penicillina sarebbe il trattamento più efficace e mirato, il team ha esaminato quasi 500 farmaci in una drug library, utilizzando un framework molecolare per comprendere le potenziali interazioni tra antibiotici e Borrelia. Una volta stilata una breve lista di potenziali candidati, il gruppo ha eseguito ulteriori test fisiologici, cellulari e molecolari per identificare composti che non avessero alcun impatto su altri batteri. Hanno scoperto che la piperacillina interferiva esclusivamente con l’insolito schema di sintesi della parete cellulare comune ai batteri della malattia di Lyme, impedendone la crescita o la divisione e, infine, portandone alla morte. Storicamente, la piperacillina è stata somministrata in associazione al tazobactam, un inibitore dell’enzima che inattiva la piperacillina.

Gli scienziati ora si chiedono se l’utilizzo degli stessi due farmaci, anziché della sola piperacillina, possa essere un metodo più efficace per uccidere i batteri.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la Clinica Basile di catania (dal 2013) Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania (del 2020) Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna dal 2024. Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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