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Olio di cocco: un aiuto naturale contro colesterolo e sovrappeso

L’olio di cocco è stato di gran moda da un po’ di tempo. Sostenuto da un certo numero di celebrità come un super-alimento, quest’olio spesso utilizzato in campo cosmetico, è uno dei condimenti preferiti sulla tavola di molte persone. Ma la domanda rimane: è salutare o no? Il grasso ha sofferto di una brutta reputazione per molto tempo, ci è stato detto di optare per opzioni a basso contenuto di grassi, e alla fine abbiamo imparato come evitare i grassi cattivi (saturi e idrogenati) e mangiare quelli buoni (insaturi) per mantenere sane le arterie. Poi nel 2003 è spuntato l’umile cocco, che diventò trendy nell’alimentazione, a causa di ricerche pubblicate nel 2003 da Marie-Pierre St-Onge, PhD, professore di Nutrizione alla Columbia University di New York. Il Prof. St-Onge aveva scoperto che nelle donne in sovrappeso il consumo di acidi grassi a catena media ha portato a un aumento del dispendio energetico e dell’ossidazione dei grassi, rispetto alle donne che mangiavano acidi grassi saturi.

Ma il professor St-Onge ha usato una dieta appositamente formulata nel suo studio, non l’olio di cocco, e non ha mai affermato che l’olio di cocco fosse il segreto dei risultati ottenuti nella sua ricerca. Poi, uno studio del 2009 che ha coinvolto 40 donne ha dimostrato che 30 ml di cocco – consumati giornalmente per un periodo di 12 settimane – hanno aumentato i livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL) cioè il colesterolo definito “buono”, accompagnati da una riduzione della circonferenza della vita. Con il proseguire degli studi, il quadro è diventato meno chiaro. Nonostante il numero di studi che hanno gettato l’olio di cocco in una luce favorevole, l’AHA ha pubblicato una nota consultiva sui grassi alimentari e le malattie cardiovascolari nel 2018, raccomandando di sostituire i grassi saturi con grassi insaturi più salutari. Questo include olio di cocco. Uno dei problemi con la controversiache circonda l’olio di cocco è la mancanza di studi umani di buona qualità e su ampie coorti di soggetti.

Qualche anno fa, uno studio del Dr. Kay-Tee Khaw, professore di Gerontologia Clinica, e la Dr.ssa Nita Gandhi Forouhi, professoressa di Salute e Nutrizione della popolazione, all’Università di Cambridge, con i loro teams di ricerca hanno confrontato gli effetti dell’olio di cocco, olio d’oliva e burro in94 volontari umani. A ciascun partecipante allo studio è stato chiesto di consumare 50 grammi di uno di questi grassi ogni giorno per 4 settimane. I risultati hanno sorpreso i ricercatori: coloro che hanno consumato l’olio di cocco avevano un aumento del 15% dei livelli plasmatici di HDL, e solo un5% per quelli che avevano usato solo l’olio d’oliva, che è accettato come buono per il nostro sistema cardiovascolare. Il meccanismo pare risiedere nel contenuto di acidi grassi a catena media, di cui il cocco è naturalmente ricco; non sono noti dettagli di come questi funzionano rispetto ai grassi saturi o quelli insaturi a catena lunga.

Ma le sorprese non sono finite. Un altro gruppo di ricerca ha scoperto che una dieta ricca di olio di cocco, burro di cacao e altri grassi vegetali alterava la diversità dei batteri intestinali nei modelli murini della malattia di Crohn, che era associata a una riduzione dell’infiammazione intestinale. Il morbo di Crohn è la classica malattia infiammatoria intestinale caratterizzata da infiammazione duratura delle mucose intestinali. Secondo l’Istituto Nazionale di Diabete e Malattie Digestive e Renali (NIDDK), si stima che il morbo di Crohn colpisca più di mezzo milione di persone negli Stati Uniti. L’esordio della malattia è più frequente tra gli adulti di 20 anni. Il Dr. Alexander Rodriguez-Palacios, PhD, della Case Western Reserve University di Cleveland, Ohio, e colleghi dicono che i loro risultati suggeriscono che i pazienti con malattia di Crohn potrebbero ridurre i loro sintomi semplicemente cambiando il tipo digrasso nella loro dieta.

Per raggiungere i loro risultati, il team ha analizzato gli effetti di due diete diverse sull’intestino dei topi affetti dal morbo di Crohn. Un gruppo di topi è stato alimentato con una dieta ricca di grassi “buoni” derivati dalle piante – come l’olio di cocco e il burro di cacao – mentre un altro gruppo veniva nutrito con una dieta normale. Ebbene, i topi alimentati con una dieta ricca di grassi mostravano una riduzione del 30% dei tipi di batteri nelle viscere, rispetto ai topi nutriti con una dieta normale, suggerendo che un’alimentazione ricca di grassi “buoni” può alterare la composizione del microbiota intestinale. È importante sottolineare che l’assunzione di grassi definiti “buoni”, anche se in piccole quantità, è stata associata ad una minore infiammazione intestinale. Probabilmente la composizione dei grassi alimentari ha effetti positivi o negativi su questo o quel ceppo di batteri della flora intestinale, poiché sono molecole utilizzate anche dai microorganismi.

È possibile che la diversità di molecola causi diversità di crescita fra le migliaia di specie batteriche che abitano nel nostro intestino e che spesso competono per lo stesso fattore nutrizionale. Ma l’olio di cocco può migliorare lo stato del nostro colesterolo nel sangue? Le più recenti nozioni al riguardo sono riportate dai risultati di un trial clinico randomizzato, pubblicato l’anno scorso. La prova è stata eseguita su 29 uomini adulti affetti da obesità. Sono stati randomizzati tra due gruppi che ricevevano un’assunzione giornaliera di 1 cucchiaio (12 ml) di olio di cocco extra vergine o olio di soia e una dieta bilanciata isoenergetica. Il profilo antropometrico, il profilo lipidico e la glicemia sono stati valutati al basale e 45 giorni dopo l’intervento. Non c’era alcuna differenza nelle variabili antropometriche tra i gruppi prima e dopo l’intervento. Il livello di colesterolo HDL è aumentato e il rapporto colesterolo TC/HDL è diminuito nel gruppo “olio di cocco”, rispetto al gruppo regolare.

L’olio di cocco incluso nella dieta bilanciata isoenergetica potrebbe aumentare il colesterolo HDL e diminuire il rapporto colesterolo TC/HDL negli uomini con obesità. Che l’effetto dipenda dal metabolismo o dal microbiota non è stato ancora esplorato.

  • a cura del Dr Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Vogel CÉ et al. Funct. 2020 Jul 1; 11(7):6588-6594.

Valente FX et al. Eur J Nutr. 2018; 57(4):1627-1637.

Nagashree RS et al. J Am Coll Nutr. 2017; 36(5):330.

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Vijayakumar M et al. Indian Heart J. 2016; 68(4):498.

Voon PT et al. Eur J Clin Nutr. 2015; 69(6):712-16.

Orsavova J et al. Int J Mol Sci. 2015; 16(6):12871-90.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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