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Sempre più spazio per la ketamina nel trattamento della depressione resistente: come fa a “resettare” i circuiti?

Background

Le stime attuali indicano che oltre 300 milioni di individui sono affetti da disturbo depressivo maggiore (MDD) a livello globale, circa 700.000 dei quali si suicidano ogni anno. La disregolazione della rete monoamminica è stata ritenuta alla base delle manifestazioni depressive. Le monoammine associate alle attività noradrenergiche, serotoninergiche e dopaminergiche possono essere regolate attraverso alcuni agenti farmaceutici per migliorare la cognitività, il sonno e l’umore dei pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore. Tuttavia, la terapia antidepressiva convenzionale ha dimostrato di essere efficace solo nel 30-40% dei pazienti depressi. Secondo lo studio STAR*D, infatti, un numero significativo di pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore non risponde al trattamento standard. È noto che i pazienti che non rispondono a due antidepressivi al dosaggio adeguato soffrono di depressione resistente al trattamento (TRED).

Come agisce la ketamina sulla depressione?

La (R, S)-ketamina racemica, più comunemente chiamata ketamina, e la (S)-ketamina (esketamina) hanno mostrato effetti positivi significativi sul MDD. Rispetto ai trattamenti convenzionali, la ketamina ha dimostrato di esercitare effetti antidepressivi entro poche ore. Molti pazienti con TRD hanno risposto positivamente anche a una singola infusione di ketamina. I meccanismi alla base degli effetti antidepressivi della ketamina sono associati al recettore ionotropico NMDA, al recettore metabotropico AMPA, alla via degli oppioidi e al complesso mTOR intracellulare. Varie cellule neuronali, comprese la microglia e gli astrociti, regolano la neuroinfiammazione. Gli individui con disturbo depressivo maggiore spesso mostrano livelli più bassi di proteina acida fibrillare gliale (GFAP) e di trasportatore del glutammato-1 (GLT-1).

In questi pazienti, una somministrazione acuta di ketamina ha normalizzato questi livelli, migliorando così il loro umore. Risultati sperimentali in vivo hanno anche dimostrato che la ketamina ha un effetto inibitorio sull’attivazione microgliale indotta dall’endotossina (LPS), che ha portato a miglioramenti nei comportamenti di tipo depressivo. Studi sui roditori hanno anche riportato che il fattore di crescita trasformante β (TGF)-β, una molecola antinfiammatoria che inibisce l’eccessiva attivazione microgliale, è associato agli effetti antidepressivi differenziali degli enantiomeri della ketamina. Modelli murini hanno rivelato che la (R)-ketamina, e non la (S)-ketamina, allevia la riduzione indotta dallo stress nell’espressione di TGFb1 e dei suoi recettori TGFbR1 e TGFbR2.

I pazienti con disturbo depressivo maggiore mostrano livelli più elevati di interleuchina 6 (IL-6) e di fattore di necrosi tumorale-⍺ (TNF-⍺) rispetto agli individui non depressi. Si ritiene che contribuiscano alla componente neuroinfiammatoria del disturbo depressivo maggiore. Uno studio sui roditori ha rivelato che la somministrazione di ketamina ha normalizzato questi livelli e migliorato i sintomi depressivi. Livelli più elevati di un’altra citochina infiammatoria, il fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi (GM-CSF), sono stati osservati in pazienti con disturbo depressivo maggiore. La somministrazione di 0,5 mg/kg di ketamina infusa per dodici giorni ha portato a un miglioramento sintomatico associato a una significativa sottoregolazione del GM-CSF.

Mediazione attraverso il sistema immunitario

Gli effetti antidepressivi della ketamina sono stati collegati al sistema del complemento, che è una componente vitale della plasticità sinaptica. Il sistema del complemento comprende 30 proteine coinvolte nella via classica, alternativa e della lectina, che convergono tutte nella scissione del C3, un componente importante del complemento. Le proteine del complemento svolgono un ruolo cruciale nella regolazione della proliferazione, maturazione e reattività cellulare. L’attivazione del sistema del complemento determina il rilascio di molecole del complemento e del sistema immunitario collegate alle risposte infiammatorie. Nel disturbo bipolare sono stati osservati livelli aumentati dei componenti del complemento sierico C3a e C5a. Allo stesso modo, nei pazienti con disturbo depressivo maggiore si riscontra un’elevata concentrazione di livelli sierici di C1q.

Un esperimento in vivo con topi knockout per il recettore C5a ha evidenziato il ruolo neuroprotettivo di C5a contro la morte neuronale indotta dall’eccitotossicità del glutammato attraverso un’elevata espressione e regolazione della subunità 2 del recettore del glutammato (GluR2). La modulazione glutammatergica è stata stabilita come una comunanza meccanicistica tra il sistema del complemento e la ketamina. Questo farmaco attiva anche mTOR attivando i recettori NMDA e il recettore TrkB, utilizzato principalmente dal fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF) e anche dal fattore di crescita nervoso (NGF). Inoltre, la via di segnale C3a-recettore C3a nei linfociti T CD4+ porta all’attivazione di mTOR che è essenziale per la sopravvivenza cellulare. L’attivazione del complemento-mTOR modula anche altri fenomeni come la secrezione di citochine, la fosforilazione ossidativa nei mitocondri e l’attivazione dell’inflammasoma.

Quindi l’effetto della ketamina sulla depressione dipende sicuramente dalla sua regolazione dei recettori glutamatergici e delle neurotrofine, ma la componente immunitaria non è da accantonare, anche perché recettori glutamatergici sono presenti sia sulle cellule immunitarie cerebrali (microglia) che periferiche (linfociti). Non si sa ancora quanto contribuisca il ruolo del microbiota intestinale in questo processo. Che la disbiosi intervenga nella patogenesi della depressione è sicuro, date le intime connessioni fra il sistema immunitario e la comunità batterica intestinale. Tramite neurotrasmettitori fra cui anche serotonina, noradrenalina e GABA, questa può regolare la produzione di citochine infiammatorie da parte della componente immunitaria locale. Non si sa, tuttavia, quanto e come “la scintilla” immunitaria dall’intestino (a parte endotossine batteriche) si possa propagare fino a raggiungere il cervello.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

Teng Y, Niu J, et al. Behav Brain Res. 2024 Apr; 459:114792.

Scotton E et al. Pharmacol Biochem Behav. 2023; 223:173523.

Ribeiro-Davis A et al. J Pharmacol Exp Ther. 2024; 388(2):647.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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