Il fisiologico processo di invecchiamento è accompagnato da un declino delle funzioni fisiologiche, che può portare a malattie cardiovascolari, neurodegenerative e metaboliche. L’invecchiamento delle cellule (o senescenza cellulare) è un processo in cui una cellula invecchia e smette per sempre di dividersi ma non muore. Anzi, continua ad accumulare danni che compromettono progressivamente sempre più il suo corretto funzionamento. È noto che l’accumulo di tali cellule “senescenti” nei tessuti contribuisce alle malattie associate all’età. L’eliminazione delle cellule senescenti o “senolisi” può quindi rappresentare un’efficace strategia terapeutica per la prevenzione delle malattie legate all’invecchiamento. Tuttavia, gli agenti senolitici convenzionali che inibiscono direttamente i segnali di invecchiamento cellulare possono avere effetti collaterali a lungo termine.
Esiste quindi la necessità di sviluppare nuovi farmaci senolitici che possano aiutare a prevenire le malattie associate all’età in modo più sicuro ed efficace. Ora, alcuni ricercatori giapponesi hanno scoperto nuovi meccanismi molecolari alla base degli effetti senolitici di canagliflozin, un inibitore del co-trasportatore 2 sodio/glucosio (SGLT2), utilizzato per controllare la glicemia dei pazienti diabetici. Studi precedenti hanno dimostrato che la restrizione calorica o la riduzione dell’apporto calorico giornaliero medio è associata alla longevità e alla diminuzione dell’accumulo tissutale di cellule senescenti. Inoltre, l’inibizione di SGLT2 è efficace nel ridurre i livelli di glucosio nel sangue portando alla perdita di calorie. Ma questi effetti possono essere estesi alla rimozione delle cellule senescenti?
Per scoprirlo, il professor Tohru Minamino e il Dr. Goro Katsuumi del Dipartimento di Biologia e medicina cardiovascolare dell’Università di Juntendo, insieme al loro team di ricercatori, hanno condotto una serie di esperimenti per comprendere il potenziale effetto senolitico della canagliflozin e i suoi meccanismi molecolari sottostanti. I ricercatori hanno utilizzato un modello murino di obesità alimentare, in cui i topi venivano nutriti con una dieta ricca di grassi (HFD) per indurre la senescenza cellulare. Successivamente, hanno trattato i topi con canagliflozin orale e li hanno esaminati per verificare i cambiamenti nel metabolismo del glucosio e la senescenza indotta dall’HFD. Ebbene, il trattamento ha portato a un miglioramento significativo del metabolismo del glucosio, a una riduzione della resistenza all’insulina, rispetto agli animali di controllo HFD.
Come prova ulteriore, c’è stata una riduzione di biomarkers correlati alla senescenza, tra cui la β-galattosidasi associata alla senescenza (SA-β-gal), i fattori proinfiammatori del fenotipo secretore associato alla senescenza (SASP), una diminuzione dell’infiammazione e dello stress ossidativo nei tessuti adiposi. Successivamente, i ricercatori hanno cercato di scoprire i meccanismi molecolari alla base dell’attività senolitica del farmaco, utilizzando l’analisi metabolomica. Hanno così scoperto che l’inibizione di SGLT2 portava ad un aumento significativo del livello plasmatico di AICAR, un metabolita noto per attivare la proteina chinasi AMPK che regola l’energia cellulare. Hanno anche notato un successivo aumento dei livelli cellulari di AMPK attivata. Come controprova, l’inibizione dell’AMPK ha portato ad un aumento dell’attività SA-β-gal, corroborando il ruolo di AICAR e AMPK nella senolisi indotta dall’inibizione di SGLT2.
È noto che il sistema immunitario e il fattore di checkpoint immunitario PD-1/PD-L1 sono attivamente coinvolti nella senescenza cellulare. Inoltre, è noto che l’AMPK regola negativamente l’espressione di PD-L1. Pertanto, i ricercatori hanno ipotizzato che l’attivazione di AMPK in seguito all’inibizione di SGLT2 possa regolare l’espressione di PD-L1. Sicuramente, l’inibizione di SGLT2 con canagliflozin ha ridotto significativamente il numero precedentemente elevato di cellule senescenti positive a PD-L1 nei topi alimentati con HFD. Al contrario, la soppressione delle cellule immunitarie in seguito al trattamento con canagliflozin ha portato ad un aumento delle cellule senescenti, indicando che gli effetti senolitici di canagliflozin erano in parte mediati dal sistema immunitario.
Nel complesso, questi risultati evidenziano il potenziale clinico dell’inibizione del SGLT2 come strategia senolitica efficace nella gestione dei disturbi legati all’invecchiamento. Non si sa ancora, tuttavia, quale sia il dosaggio necessario per la comparsa di questi effetti nell’uomo. Non esistono ancora, infatti, trials clinici controllati sull’uomo per testare l’effetto del canagliflozin in condizioni dove c’è l’accumulo di cellule senescenti. Ci sono dei vantaggi intrinseci, nell’uso di questa molecola per studiarla nelle patologie dove si accumulano cellule senescenti. È un farmaco che ha un buon profilo di sicurezza, è già ampiamente usato come farmaco di “nuova generazione” per il trattamento del diabete di tipo 2 e nuovi dati indicano che ha un effetto positivo anche nelle funzioni delle cellule cardiache nel contesto dello scompenso cardiaco.
Il lato positivo è che il diabete per sé è una condizione in cui si accumulano cellule senescenti in certi distretti corporei. Per esempio, è noto che i soggetti diabetici hanno molta più probabilità delle persone sane di sviluppare discopatia alla colonna vertebrale. Gli scienziati hanno appurato che questo succede perché le cellule del nucleo polposo dei dischi intervertebrali accumulano proprio cellule senescenti. La stessa cosa sembra succedere per la comparsa della retinopatia diabetica, dove la comparsa di edema maculare è già sintomatico della comparsa di cellule che cominciano ad accumulare difetti funzionali. Indipendentemente dal tipo di percorso ipotizzato per contribuire, l’iperglicemia è un fattore critico di tutti questi stessi percorsi (via dei polioli, attivazione della PKC, del fattore NF-kB, ecc.) con conseguente stress ossidativo e danno cellulare.
La reazione a questo stress cellulare nel diabete e in altre malattie a rischio aumentato con l’età è la formazione e l’accumulo di cellule senescenti. Questo dà ragione alla clinica medica, che insiste come un disciplinato controllo della glicemia a tavola sia essenziale per una buona gestione della malattia. Nel senso che non si può solamente fare affidamento alle cure farmacologiche (metformina, repaglinide, insulina, ecc.) per il controllo della glicemia, se poi non si ha disciplina sull’introito calorico. Indipendentemente dalle cure farmacologiche, infatti, l’introito di glucosio non è minore se si assumono i farmaci convenzionali. Il glucosio di origine alimentare, infatti, non è condizionato dai farmaci: questi servono solamente a farlo assorbire a livello cellulare, facendo sì che la glicemia resti nei limiti del sopportabile. Canagliflozin, dapagliflozin e congeneri, invece, modificano proprio la presenza di glucosio cellulare.
Essi, infatti, inducono il rene ad eliminare l’eccesso di glucosio con l’urina: è una strategia completamente diversa rispetto ai farmaci antidiabetici convenzionali e previene proprio l’accumulo del glucosio nei tessuti e nel sangue, che è il primo passo per la comparsa del processo di glicazioni proteica (comparsa dei complessi AGE), nonché dell’eccessiva ossidazione del glucosio tramite la glicolisi. Questa diventa così fonte di radicali liberi (stress ossidativo) che provocano un danno biologico. Per questo motivo, molti tessuti nel diabete e nelle condizioni associate al diabete sono caratterizzati dall’accumulo di cellule senescenti. Questi tessuti e condizioni includono le stesse cellule β pancreatiche, la malattia del fegato grasso (steatosi o NAFLD), l’arteriopatia periferica, la disfunzione renale (IRC), la retinopatia ed anche la disfunzione cognitiva.
Le malattie cardiovascolari, la malattia renale e il declino cognitivo sono tutte associate ad un aumento del carico di senescenza cellulare con l’età, l’obesità e nei soggetti che soffrono di diabete. Prove sempre più numerose suggeriscono che l’eliminazione delle cellule senescenti in tutte queste condizioni può migliorare notevolmente la salute degli individui affetti da esse. Originariamente, si pensava che tutto potesse essere risolto con la metformina, che grazie alla sua tollerabilità ed ai multipli meccanismi d’azione, era stata preconizzata come il farmaco ideale per gestire il diabete e la comparsa delle sue complicanze. Invero, tramite l’attivazione della via cellulare della AMPK la metformina può contribuire alla riduzione del rischio di trasformazione “senescente” cellulare. Ma la metformina, nel tempo, causa la comparsa di effetti collaterali abbastanza severi.
I nuovi farmaci antidiabetici, invece, sembrano molto più tollerati e causano molti meno effetti collaterali, avendo un dosaggio efficace più basso di un fattore 10 rispetto alla metformina. Se poi prevengono anche le complicanze, eliminando la radice patologica cellulare (le cellule senescenti) semplicemente facendo espellere il glucosio in eccesso, possiamo pensare che siamo davvero ad una svolta nel trattamento di una condizione medica che conta oggi 500 milioni di persone affette in tutto il mondo.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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Pubblicazioni scientifiche
Katsuumi G et al. Nature Aging 2024 May 30; in press.
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Herranz N., Gil J. J Clinical Invest. 2018; 128, 1238–1246.
Chang J, Wang Y, Shao L et al. Nat Med. 2016; 22:78–83.