Un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università di Gerusalemme, in collaborazione con ricercatori dell’Istituto di Microbiologia dell’Università Friedrich Schiller, ha scoperto un colpevole inaspettato che alimenta la gravità di una delle infezioni fungine più pericolose per l’uomo: un virus che vive dentro il fungo stesso. I ricercatori hanno scoperto che una simbiosi virale col fingo Aspergillus fumigatus aumenta significativamente la capacità del fungo di sopravvivere allo stress e causare gravi infezioni nei mammiferi. La rimozione del virus ha reso il fungo più debole e meno virulento, mentre i trattamenti antivirali hanno migliorato le probabilità di sopravvivenza. Questa scoperta rivela un fattore nascosto che determina la letalità delle infezioni fungine e apre la strada a potenziali nuovi trattamenti che colpiscono il virus piuttosto che il fungo stesso.
La ricerca rivela che un virus a RNA a doppio filamento residente all’interno del fungo Aspergillus fumigatus gli conferisce un potente vantaggio di sopravvivenza, rendendolo più resistente, più resistente e, in definitiva, più pericoloso per la salute umana. L’Aspergillus fumigatus è già noto negli ambienti medici. Responsabile della maggior parte delle infezioni fungine invasive nell’uomo, è particolarmente letale per le persone con un sistema immunitario indebolito. Nonostante decenni di ricerca, i tassi di mortalità per infezioni rimangono allarmanti, prossimi al 50%. Ma il team ha aggiunto un nuovo sorprendente aspetto alla storia: un virus, che si muove silenziosamente all’interno del fungo, sembra agire come un booster nascosto per il patogeno. Quando questo virus è presente, il fungo sopravvive meglio allo stress ambientale, inclusi il calore e le condizioni ossidative all’interno dei polmoni dei mammiferi.
Per testare l’impatto del virus, i ricercatori lo hanno rimosso da ceppi fungini e ne hanno confrontato il comportamento con le loro controparti infette dal virus. La differenza è stata sorprendente. I funghi privi di virus hanno perso la capacità di riprodursi efficacemente, hanno mostrato difese più deboli, come una ridotta produzione di melanina, e sono diventati significativamente meno pericolosi una volta introdotti nei polmoni dei mammiferi. I risultati suggeriscono che questi cosiddetti “micovirus” potrebbero svolgere un ruolo discreto ma cruciale nello sviluppo e nella progressione delle malattie fungine nell’uomo, un ruolo che è passato in gran parte inosservato nel campo della micologia medica. Forse il dato più promettente di tutti: quando i trattamenti antivirali sono stati utilizzati per sopprimere il virus durante l’infezione, i risultati di sopravvivenza sono migliorati nel modello di mammifero.
Questo suggerisce un percorso terapeutico completamente nuovo: non solo mirato al fungo stesso, ma anche al virus che lo aiuta a prosperare. Questa scoperta apre le porte a un ripensamento del modo in cui vengono trattate le infezioni fungine. Prendendo di mira il virus all’interno del fungo, i ricercatori potrebbero un giorno indebolire il patogeno a sufficienza da consentire al sistema immunitario, o ai farmaci antimicotici esistenti, di combatterlo in modo più efficace. In un mondo in cui i patogeni fungini stanno diventando più resistenti ai farmaci e più difficili da trattare, lo studio offre un raro barlume di speranza: forse abbiamo trascurato un fattore chiave per tutto questo tempo.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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