Nella maggior parte dei casi, la sclerosi multipla si manifesta inizialmente con sintomi episodici e transitori, la cui gravità, frequenza e durata variano a seconda delle aree del sistema nervoso centrale colpite. Il trattamento è farmacologico ma palliativo, poiché non esiste una vera e propria cura, ma solo trattamenti per rallentare la progressione della malattia. Tuttavia, come indicato, si tratta di una malattia incurabile: quando compaiono i sintomi, significa che il sistema immunitario ha già attaccato le cellule nervose per anni; pertanto, i risultati del nuovo studio sono molto promettenti per la prevenzione e il trattamento della sclerosi multipla, consentendo potenzialmente di trovare un modo per fermarla prima che sia troppo tardi.
La proteina gliale fibrillare acida (GFAP) se presente nel torrente ematico riflette sofferenza astrogliale. GFAP e proteina del neurofilamento (NfL; e il loro rapporto) sono stati studiati per distinguere SM da altre malattie demielinizzanti autoimmuni (soprattutto NMOSD e MOGAD) in fase di attacco e in alcuni contesti clinici. Questo è molto pratico perché il “problema diagnostico” iniziale spesso non è “SM sì/no” in astratto, ma SM vs alternative che richiedono terapie diverse. Ma come NfL, anche GFAP presa da sola non fa diagnosi di sclerosi multipla; il valore cresce nella differenziazione e nella lettura “biologica” dell’attività, più che nel confermare SM in modo univoco.
Pur non essendo biomarcatori della SM, alcune proteine anticorpali sieriche sono determinanti perché consentono di identificare patologie spesso scambiate per SM. Per esempio, la AQP4-IgG è fondamentale per la diagnosi di NMOSD; la positività sierica orienta chiaramente lontano dalla SM e verso un percorso terapeutico diverso. La MOG-IgG, invece, essenziale per la diagnosi di MOGAD (tipicamente tramite test sierico). Questi esami, in pratica clinica, sono spesso “la parte più diagnostica” del sangue quando si valuta una sindrome demielinizzante. Valutare questi biomarkers, dunque, dovrebbe servire ad evitare degli errori diagnostici grossolani.
Adesso, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani del Weill Institute for Neurosciences dell’Università della California, San Francisco ha determinato che i segni della malattia sono evidenti nel sangue sette anni prima dell’insorgenza dei sintomi. Hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia della McGill University (Canada), del Centro di Eccellenza per la Sclerosi Multipla del Dipartimento degli Affari dei Veterani di Washington DC e di altre istituzioni. I ricercatori hanno analizzato campioni di sangue di migliaia di militari statunitensi, in servizio ed ex militari, 134 dei quali hanno sviluppato la sclerosi multipla nel tempo.
Attraverso test di laboratorio, gli scienziati hanno scoperto che, nei pazienti che hanno sviluppato la malattia, si verificavano concentrazioni ematiche significativamente aumentate di glicoproteina oligodendrocitaria mielinica (MOG), un marker del danno alla mielina (demielinizzazione), sette anni prima dell’insorgenza dei sintomi clinici. L’anno dopo, a sei anni dalla manifestazione clinica della malattia, aumentavano anche i livelli di NfL. Nel frattempo, sono stati rilevati anche aumenti di interleuchina-3 (IL-3), una citochina infiammatoria prodotta principalmente dai linfociti T. Essa stimola le cellule immunitarie a intervenire nelle aree nervose colpite dalla sclerosi multipla.
In totale, gli scienziati hanno analizzato circa 5.000 proteine, identificandone 21 (oltre a quelle più importanti già menzionate) i cui livelli variano con la progressione della SM. Da questi biomarkers, è possibile sviluppare esami ematici per rilevare la malattia molti anni prima dell’insorgenza dei sintomi.
- A cura del Dott. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Abdelhak A et al. Nature Med. 2025 ottobre; in press.
Chitnis T et al. Lancet Neurol. 2025; 24(12):P1066.
Bjornevik K et al. JAMA Neurol. 2020; 77:58–64.
Novakova L et al. Neurology 2017; 89(22):2230.
Cortese M et al. Ann Neurol. 2016; 80:616–624.
