Prevalenza dell’anemia in ambienti carcerari
Può apparire insolito ma il problema dell’anemia nelle prigioni è abbastanza reale. Può dipendere da svariati fattori (sia alimentari che non-) e in Italia mancano studi nazionali che misurino direttamente la prevalenza di anemia in popolazione detenuta. I report disponibili descrivono soprattutto il carico di malattie croniche e i determinanti (dieta, stili di vita), non l’emoglobina o la ferritina. Il lavoro di Voller et al. documenta un’elevata quota di patologie croniche in detenuti italiani, suggerendo un rischio metabolico/infiammatorio maggiore rispetto alla popolazione generale, ma senza dati sull’emoglobina.
Progetti italiani recenti (es. B.A.C.I.) segnalano criticità nutrizionali e stili di vita sfavorevoli fra i detenuti (potenziali driver di anemia), rafforzando il bisogno di monitoraggi nutrizionali oggettivi. A livello europeo, i rapporti OMS su “Prisons and Health” e sullo HIPED (Health in Prisons European Database) evidenziano carenze su alimentazione e malnutrizione in alcuni sistemi penitenziari, ma non forniscono stime comparabili di anemia. In breve: il tema è riconosciuto, i dati specifici su Hb sono scarsi/eterogenei.
Quadro internazionale (studi puntuali)
In Iran (prigione di Mashhad) l’anemia diagnostica dal rapporto Hb/Ht ~6,5%; carenza marziale più frequente nelle donne e con l’età. (Studio carcerario con ferritina e sideremia.)
USA, minori detenuti (storico): alta quota di carenza di ferro (ferritina ≤20 ng/mL nel 51% delle femmine e 24% dei maschi; ferritina ≤12 ng/mL nel 32% nelle femmine e 6% nei maschi). Non è una stima “Hb-based” di anemia, ma segnala un rischio carenziale elevato in adolescenza.
Paesi a risorse limitate: più studi su malnutrizione e carenze micronutrizionali in carceri africane (Nigeria, Etiopia) con tassi significativi di sottopeso e deficit micronutrizionali, condizioni che aumentano il rischio di anemia (ferro/folati) e di anemia infiammatoria. Anche qui, poche misure standardizzate di Hb, ma evidenza robusta di diete inadeguate.
Principali fattori di rischio in ambiente carcerario
Dieta e qualità nutrizionale: menù poveri di ferro eme, frutta/verdura fresca, e con alta quota di fitati/tannini → ridotta biodisponibilità; frequenti carenze di vitamina C, D e folati. Esistono evidenze qualitative e quantitative su inadeguatezze dei menu in diversi sistemi penitenziari.
Infiammazione cronica e comorbidità: malattie croniche (diabete, insufficienza renale, epatopatie da HCV/HBV), infezioni (HIV), uso di sostanze, depressione/stress possono condurre i ristetti ad anemia da infiammazione / malattia cronica. (In Europa, alta prevalenza di infezioni e cardiopatie/diabete nei detenuti.)
Fattori specifici per condizioni ed età: negli adulti e negli anziani sussistono fattori quali multimorbidità, terapia pluri-farmacologica, ipocloridria da eccessivo uso di gastroprotettori quali omeprazolo e simili). Almeno il 20% della popolazione detenuta soffre di ipertensione in trattamento farmacologico, un altro 25-30% è affetto da diabete per lo più farmaco-dipendente. La loro alimentazione, per essere in linea con un mantenimento di uno stato glicemico da discreto ad accettabile comporta delle potenziali deficienze legate a protocolli alimentari non sempre eseguibili perché dipendenti dall’organizzazione interna e delle risorse disponibili. Chi fa terapia antibiotica per problemi dentari cronici o di infezioni respiratorie, poi, è costretto a prendere gastroprotettori frequentemente per evitare lesioni gastriche.
Accesso alle cure e screening: ritardi nell’accesso a diagnostica e terapia; scarsa standardizzazione di screening nutrizionali all’ingresso e nel follow-up. (Evidenze su peggior accesso alle cure nei soggetti con storia di incarcerazione). Questo punto può dipendere sia da ragioni organizzative o difficoltà techiche delle strutture ospedaliere circostanti a soddisfare la domanda, sia da difficoltà relative all’amministrazione penitenziaria. Quando il personale penitenziario è scarso per coprire le minime necessità quotidiane interne, spesso i ristetti saltano le visite specialistiche. Questo costringe l’area sanitaria alla riprogrammazione futura e comporta tempi di allungamento diagnostico per gli interessati.
Parassitosi/malaria (contesti endemici): contributo importante all’anemia ferrocarenziale o emolitica in carceri di Paesi dove la Malattia è endemica.
Cosa si può fare: interventi realistici (a “basso attrito”)
1) Screening e diagnosi mirati
All’ingresso e periodicamente: emocromo con formula completa, dosaggio di ferritina e PCR (per distinguere carenza vs. infiammazione), ±TSAT, B12/folati nei gruppi a rischio. Fra questi vi sono sicuramente i detenuti diabetici, oncologici e coloro non mangiano carne e derivati.
2) Nutrizione “corretta per il contesto”
Adeguare apporti di ferro (alimenti ricchi di ferro eme: carne/pesce, ove culturalmente accettabili), vitamina C ai pasti per migliorare l’assorbimento; ridurre bevande gassate subito dopo i pasti ricchi di ferro. Menu differenziati per donne in età fertile, gravide e anziani; prevedere snack fortificati quando il pasto principale è povero di micronutrienti; rivedere capitolati di fornitura per includere frutta/verdura fresca regolare. Questo non è sempre possibile e c’è anche chi può permettersi l’ingresso esterno (famiglia) di carne ed altri alimenti adeguati. Chi fra i ristretti, invece, non è abbiente o ha tagliato i ponti con familiari/parenti, questo non è sempre possibile si affida alle possibilità messe a disposizione dell’area sanitarie e della farmacia in loco.
3) Integrazione terapeutica
Si ricorre a ferro orale (ferro solfato/gluconato) e folati orali secondo linee guida generali in caso di carenza documentata. In caso di necessità di vitamina B12 è possibile la terapia iniettiva, sempre che l’ASP (in Italia) rifornisca la farmacia del carcere, altrimenti i detenuti sono costretti all’acquisto del farmaco di cui hanno bisogno tramite sopravvitto. E qui può essere un problema: per le fasce dei detenuti più abbienti o sostenuti dalle famiglie il problema non si pone, e c’è chi è disposto all’acquisto “in nome della salute”. Per chi viene da substrati poveri o personali disastrati (es. tossicodipendenti), l’acquisto di farmaci dedicati è molto spesso impossibile.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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