venerdì, Aprile 19, 2024

Sigaretta e diabete a braccetto: così il cervello “va in fumo”

È già noto che le calcificazioni nell’ippocampo sono comuni, soprattutto con l’aumentare dell’età. Lei e i suoi colleghi hanno scoperto che, oltre a far progredire l’età, il diabete e il fumo erano anche collegati a depositi di calcio, o calcificazioni, nell’ippocampo. Poiché l’ippocampo è una struttura nel cervello importante per la memoria a breve e lungo termine, è oggetto di molte ricerche sulla demenza, una malattia che colpisce circa 50 milioni di persone in tutto il mondo. Questa ricerca ha dimostrato, ad esempio, che l’ippocampo è particolarmente vulnerabile ai danni durante lo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer, che è la causa principale della demenza. Altri fattori di demenza includono il danno all’apporto di sangue al cervello, l’accumulo di proteine ​​anomale e l’infiammazione. In un rapporto pubblicato sulla rivista Radiology, i ricercatori dello studio descrivono come hanno analizzato le scansioni TC cerebrali dei pazienti con problemi di memoria. Sono stati guidati dal Dr. Esther J.M. de Brouwer, del Dipartimento di Geriatria del Centro Medico Universitario di Utrecht, nei Paesi Bassi.

Il dott. De Brouwer e il team osservano che l’attuale ricerca sulla demenza sull’ippocampo tende a concentrarsi sulla neuro-degenerazione delle cellule neuronali, contrariamente alle anomalie nel flusso sanguigno, o sistema vascolare, che li nutre. Le scoperte degli scienziati potrebbero essere significative perché supportano l’idea che le calcificazioni possono essere di origine vascolare. Una caratteristica distintiva dello studio è che è stato in grado di sfruttare un nuovo tipo di scansione noto come “scansione TC cerebrale multiplanare”. Questo tipo di TC consente ai radiologi di distinguere tra l’accumulo di calcio nell’ippocampo e quello nelle strutture vicine come il plesso coroideo. Anche questo tipo di scansione “consente di vedere l’ippocampo in diversi piani anatomici, ad esempio dall’alto verso il basso, da destra verso sinistra e dalla parte anteriore a quella posteriore. La squadra ha esaminato le scansioni TC cerebrali multiplanari di circa 2.000 persone eseguite in una clinica per problemi di memoria nei Paesi Bassi nel periodo 2009-2015. L’età dei pazienti variava tra 45 e 96 anni.

Le scansioni TC erano state tutte eseguite come parte di test diagnostici che includevano anche la valutazione della funzione cognitiva. I ricercatori avevano in mente due obiettivi per il loro studio. Uno era quello di indagare eventuali legami tra i fattori di rischio noti per causare problemi vascolari – come il fumo, il diabete e l’ipertensione – e calcificazioni ippocampali. L’altro obiettivo dello studio era scoprire se l’accumulo di calcio nell’ippocampo ha un effetto sulla funzione cognitiva. Quando hanno analizzato le scansioni CT, gli scienziati hanno scoperto che il 19% di tutti i partecipanti allo studio aveva calcificazioni nel loro ippocampo. Hanno anche scoperto che “età avanzata”, fumo e diabete “erano associati alla presenza di calcificazioni ippocampali”. Il disegno dello studio non ha permesso agli scienziati di essere sicuri che il fumo e il diabete aumentassero effettivamente il rischio di calcificazioni ippocampali. Esistono prove che suggeriscono che le calcificazioni ippocampali sono un segno distintivo della malattia vascolare ed è risaputo che il fumo e il diabete sono fattori di rischio per le malattie cardiovascolari.

Il team è rimasto perplesso sul fatto che lo studio non ha trovato collegamenti tra l’accumulo di calcio nell’ippocampo e la funzione cognitiva. Il Dr. de Brouwer suggerisce che questo potrebbe essere dovuto ad alcuni dei limiti dei loro metodi e design. Un limite, ad esempio, era il fatto che non esisteva un “gruppo di controllo” di soggetti sani; tutti i partecipanti erano pazienti in una clinica di memoria e presentavano disturbi che vanno dal deterioramento cognitivo, alla demenza vascolare e al morbo di Alzheimer. Un’altra spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che ci sono diversi strati nell’ippocampo, ed è possibile che le calcificazioni trovate nello studio non abbiano danneggiato la struttura dell’ippocampo che è importante per la conservazione della memoria. D’altronde la vasculopatia cerebrale cronica è attualmente la causa preponderante di declino cognitivo che si riscontra nella pratica clinica. Essa condiziona quasi tutte le aree cerebrali, per le quali si riscontra un minore afflusso di sangue generalizzato. E’ possibile che ci sia il contributo di altre aree cerebrali nei deficits cognitivi della malattia, ed è quello che il team ha intenzione di svelare prossimamente.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Peters MEM et al. PLoS One. 2018 May 11; 13(5):e0197073.

Schaafsma W et al. Neurobiol Dis. 2017 Oct; 106:291-300.

Van’t Ent D, den Braber A et al. Sci Rep. 2017 Jul; 7(1):6957.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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